“Keiko e Kuczynski? Sono la stessa cosa. Non so proprio chi voterò al ballottaggio”. Così un militante del Frente Amplio raccontava a Cusco il suo sconforto per il risultato delle presidenziali. Veronika Mendoza, candidata della sinistra, non ce l’ha fatta a passare al secondo turno. Ma la sua coalizione, che correva per la prima volta, ha ottenuto un rispettabile 18,5%.
Partendo da zero, non è poco. La sinistra peruviana dunque ritorna in parlamento dopo diverse decadi di assenza e il Frente Amplio sarà la seconda forza parlamentare. Il risultato di Veronika è tanto più sorprendente quando si considera che la sua è stata una campagna poverissima in termini di soldi investiti.
In regioni dove il Frente Amplio ha stravinto (Apurímac, Ayacucho, Cusco, Huancavelica, Puno y Tacna) non si vedeva in giro un solo manifesto di Veronika. I muri erano invece tappezzati da gigantografie di Keiko e dei candidati Fujimoristi, che hanno investito nella campagna milioni di soles.
Di male in peggio
Così il 5 giugno i peruviani si ritroveranno a scegliere fra due candidati di destra:
- Keiko Fujimori, 40 anni, figlia dell’ex dittatore in carcere (ha ottenuto il 39,5%);
- l’economista Pedro Pablo Kuczynski, 77 anni, un anziano ministro di Belaunde ed ex premier di Alejandro Toledo (ha ottenuto il 21,6% al primo turno).
Kuczynski aveva corso per la presidenza anche nel 2011: all’epoca, quando non era passato al secondo turno, aveva dichiarato il suo appoggio per Keiko contro Ollanta Humala (che poi vinse). Molti peruviani ricordano proprio questa sua scelta e lo considerano non alieno al fujimorismo. Altri lo accusano di rapporti troppo stretti con gli Stati Uniti e di aver svenduto il gas peruviano quando era al potere.
Ma in un paese che si è spesso fidato di outsider, candidati sconosciuti catapultati alla presidenza, Kuczynski è apprezzato da molti per i suoi lunghi anni esperienza in politica. Lo slogan del suo partito “El sì sabe” (lui sì è esperto) ha attirato il voto dei delusi dai debuttanti della politica. Tali sono considerate Keiko Fujimori (“non ha mai lavorato in vita sua”) e Veronika Mendoza, troppo “muchacha”, ovvero troppo “ragazzina”, con i suoi 35 anni.
Eppure Veronika ha dimostrato in questa campagna enormi potenzialità, tanto che molti la vedono come candidata “forte” della sinistra fra 5 anni, nel 2021. Abile oratrice, appassionata, franca, pronta a denunciare la corruzione senza peli sulla lingua, Veronika ha goduto dell’appoggio spontaneo dei militanti del suo partito, mentre gli altri candidati pagavano tutto: persino i manifestanti che sfilavano per le strade con le loro bandiere.
“Prendo 50 soles (13 euro) al giorno per fare campagna”, ci confessava nei giorni scorsi una giovane di reclutata da Alianza para el progreso, uno dei tanti partiti in lizza. La ragazza non aveva la minima idea di chi fosse la candidata di cui portava il ritratto, della sua biografia o delle sue proposte. Ne conosceva soltanto il nome. 50 soles al giorno è il doppio del salario minimo peruviano.
Al ballottaggio del 5 giugno, Kuczynski ha speranze di farcela anche se il divario che adesso lo separa da Keiko è grande. Se riuscirà ad attirare i voti anti-fujimoristi, avrà la strada spianata: non tanto per i suoi meriti, ma per il rifiuto che suscita Keiko in una buona parte di elettori peruviani.
Una campagna venduta e comprata
Quel che è certo è che le regole del gioco in Perù non sono uguali per tutti. L’ultimo Congresso ha prodotto una legge elettorale bizzarra. In alcuni ambiti, ci sono regole strettissime: ad esempio, un candidato deve indicare minuziosamente gli studi fatti, i diplomi ottenuti, la sua storia professionale. Una bugia o una omissione significano esclusione dalla corsa.
Invece i candidati possono tranquillamente omettere di aver subito una condanna penale, se questa non è definitiva. O ancora: se i candidati non presentano un rapporto delle spese fatte in campagna elettorale, non c’è per loro alcuna sanzione. Si è dunque avuto il caso di candidati a rischio di esclusione perché non avevano consegnato il diploma di scuola media e altri tranquillamente in lizza con condanne in primo grado per corruzione, o legami con il narcotraffico.
Altro punto dolente, quello della libertà di stampa. L’80% dei media nazionali (grupo El Comercio) è nelle mani di un solo padrone, di simpatie fujimoriste.
A livello locale è ancora peggio: TV e radio non vendono solo gli spot. Vedono anche le interviste e e gli articoli, che sono veri e propri testi pubblicitari mascherati da inchiesta giornalistica. Alcune emittenti arrivano a scriverlo nel contratto che stipulano con i candidati: questo è il costo per gli spot, questo è il prezzo per le interviste, che vengono trasmesse e ritrasmesse a orari concordati.
Usuale anche pubblicare notizie false contro i candidati avversari, con vere e proprie campagne denigratorie che vanno avanti per mesi, anche per anni. Vengono presi di mira in particolare i leader delle lotte sociali: quelli che si battono contro lo strapotere delle compagnie minerarie o a difesa dell’ambiente. Nessun organo deontologico sanziona giornalisti e editori per queste pratiche.
Leggi ambigue
Per non parlare del Tribunale elettorale peruviano, che ha escluso tanti candidati per aver consegnato soldi e regali agli elettori, ma non Keiko Fujimori. Quando si trattava di esaminare le prove contro di lei, i giudici l’hanno sempre salvata in extremis. Le leggi elettorali in Perù sono così ambigue che è un gioco manipolare le norme secondo convenienza. In questo contesto, i peruviani non si fidano neppure del voto elettronico, introdotto per la prima volta in alcuni quartieri di Lima, dove vivono 3 milioni di elettori.
Insomma: in un tale panorama politico, dove la corruzione è imperante, non stupisce che i peruviani si ritrovino di nuovo di fronte una Fujimori, malgrado la situazione disastrosa in cui il dittatore lasciò il paese.
Ciò che preoccupa è anche la forza che Keiko avrà nel nuovo Congresso: il suo sarà il primo partito. Se anche Pedro Pablo Kuczynski riuscisse a sconfiggerla al ballottaggio, non avrà abbastanza parlamentari per governare. Dovrà dunque ricorrere ad alleanze con altri partiti o – paradossalmente – con quello di Keiko. Non è una buona prospettiva per il Perù, nei prossimi 5 anni.