Ancora una volta Cuba al centro dell’attenzione internazionale. Dopo il disgelo con gli Stati Uniti, l’accordo di pace raggiunto all’Avana tra le Farc e il governo colombiano e l’abbraccio lungo un millennio tra papa Francesco e il patriarca Kirill, Raul Castro si prepara a ricevere Barack Obama il 21 e 22 marzo.
Uno strano rapporto quello tra Cuba e Stati Uniti. La grande nazione del Nord combatté qui una guerra contro la Spagna alla fine dell’Ottocento per cacciare dal continente americano la decaduta potenza iberica e poi rimase a “proteggere” l’isola di José Martì, il grande poeta indipendentista cubano che avrebbe ispirato i rivoluzionari di Fidel.
Nel 1901 Cuba nasceva come Paese indipendente, ma in libertà sorvegliata. Un legame stretto fino alla sua fase terminale, durante la dittatura di quel Fulgencio Batista cacciato via dalla rivoluzione guidata da Fidel Castro nel 1959. Poi sono arrivati gli anni delle distanze siderali e del bloqueo, l’embargo commerciale mantenuto per decenni, e ancora parzialmente in vigore, con lo scopo dichiarato di strangolare l’esperienza dei barbudos.
Ma questi due Paesi amici-nemici hanno sempre avuto tante cose in comune e si sono reciprocamente influenzati sul terreno della cultura, dello sport, della musica e della politica. Due dei tre più importanti candidati del Partito repubblicano alle primarie in corso sono figli di cubani, di quella diaspora che praticamente ha colonizzato lo Stato della Florida. La visita sull’isola di Barack Obama è però, paradossalmente, un evento anomalo. Nel periodo in cui Cuba era praticamente una loro colonia, ricevette solo la visita di un altro presidente, Calvin Coolidge, nel 1928.
Per Barack Obama la situazione sarà molto meno favorevole rispetto al suo predecessore, perché i rapporti con Cuba non sono stati ancora normalizzati del tutto e perché sarà ricevuto da Raul Castro. Un cognome che rappresenta una sconfitta storica per Washington, quella di non essere riusciti, con le buone e soprattutto con le cattive, a sbarazzarsi dei fratelli Castro e dell’unica esperienza comunista dell’Emisfero Occidentale. Un regime antagonista, quello castrista, alla loro politica estera in America Latina e Africa che però oggi molti pensano possa diventare prezioso alleato.
Cuba ha avuto e mantenuto nel tempo, da quando era colonia spagnola, una centralità politica e culturale nell’area caraibica, allargata all’intero continente dopo la vittoria della rivoluzione. Un paese ancora influente, come ha dimostrato portando a termine la mediazione tra Stato e guerriglia colombiana che per tre anni hanno lavorato all’Avana per raggiungere un accordo che sarà firmato a fine marzo a Bogotá. Un Paese al centro delle attenzioni del Vaticano, perché rimasto fondamentalmente cattolico in un continente passato in buona parte alle religioni evangeliste e pentecostali.
Cuba è anche il crocevia degli investimenti di Paesi che altrove sono in feroce competizione. Sull’isola stanno arrivando capitali brasiliani, cinesi, europei e prestissimo statunitensi. Qualcuno immagina l’isola come un futuro hub per diplomazia e affari.
Sono questi i motivi che spingono Obama a recarsi a Cuba prima di finire il suo mandato. Non dovendosi ricandidare, ha scelto di assecondare la comunità degli affari statunitensi e le famiglie di oriundi cubani che non sapevano più cosa farsene dell’embargo e sognavano la possibilità di potere investire e di muoversi liberamente. La visita di Obama passerà alla storia, come sono passati alla storia le visite di Francesco e la conclusione positiva degli accordi di pace tra i colombiani. Cuba è tornata dopo anni a occupare un ruolo centrale all’incrocio tra Nord e Sud, tra Est e Ovest e non è sicuramente un caso.
Alfredo Somoza è direttore di Dialoghi.info