Una conferenza stampa alle due e mezza del mattino, con una sola giornalista rimasta a fare le domande. Il nord Italia bloccato. Giuseppe Conte scende nella sala stampa di Palazzo Chigi e per prima cosa se la prende con chi ha fatto circolare il testo del decreto: “Questa pubblicazione ha creato incertezza, insicurezza, confusione e non lo possiamo accettare” ha attaccato.
Quello che è accaduto nelle ore precedenti dice però che il problema stava nel conflitto con gli enti locali. Il decreto sarebbe dovuto entrare in vigore alla mezzanotte dell’8 marzo ma, nel frattempo, le Regioni interessate avevano protestato e chiesto chiarimenti e modifiche.
Il Presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, scriveva: “Ho chiesto alcune ore per addivenire a soluzioni più coerenti e condivise”. Il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, parlava di testo pasticciato. Amministratori leghisti e del PD e tutto è avvenuto in pubblico e non per una fuga di notizie.
Da qui il posticipo per arrivare, dopo ore di trattative, alla conferenza stampa di Conte che dava una interpretazione nel segno del rigore ulteriore, dopo che il testo circolato era stato criticato perché ambiguo. È un “vincolo a evitare gli spostamenti in entrata e in uscita dai territori nonché all’interno dei medesimi” salvo “comprovate” esigenze di lavoro o motivi di salute o “situazioni di necessità”, chiariva Conte.
Un giro di vite interpretativo cui se ne accompagnano altri, nel testo finale firmato alle 3.22 e in vigore da oggi, rispetto alla bozza già circolata per quanto riguarda la zona quasi rossa. Due esempi: ci sono i rapporti di lavoro. Oltre allo Smart working, si raccomanda di far fare ai dipendenti ferie e congedi. Ci sono i bar e i ristoranti chiusi dalle 18 alle 6 e aperti nelle altre ore solo se si tengono le persone a distanza. Giri di vite arrivati al termine di un confronto teso con gli enti locali. La ragione primaria della firma nella notte, al di là delle polemiche sulla fuga di notizie.