Questa settimana si capirà se il negoziato sulla Siria in corso a Ginevra sarà in grado di produrre dei risultati concreti. Alla fine della prima settimana di colloqui, pochi giorni fa, il mediatore internazionale Staffan de Mistura aveva provato a sottolineare le buone notizie, anzi l’unica buona notizia: nessuno è tornato a casa e le trattative proseguono.
In effetti i precedenti tentativi diplomatici erano falliti nel giro di pochi giorni, ma a un certo punto regime e opposizione devono trovare un minimo punto d’incontro, altrimenti la mediazione delle Nazioni Unite non ha più senso. Lo stesso de Mistura, ieri, ha espresso tutta la sua frustrazione. Dopo l’incontro con la delegazione del governo siriano Staffan de Mistura ha detto che è arrivato il momento di affrontare il dossier politico, ma ha ammesso che al momento non è ancora possibile. Sulla base di quanto indicato dal consiglio di sicurezza della Nazioni Unite la transizione politica dovrebbe prevedere un governo di transizione, una nuova costituzione, nuove elezioni. Il tutto nel giro di un anno e mezzo. Ma il regime – lo ha precisato il capo della delegazione di Damasco, Bashar Jaafari, non vuole ancora entrare nel merito della questione.
Secondo fonti diplomatiche vicine alla trattativa di Ginevra la delegazione di Damasco, comprensibilmente, continua a temporeggiare, insistendo su questioni procedurali. L’opposizione ha già fatto una serie di proposte su come potrebbe essere il periodo di transizione. Il governo avrebbe invece presentato un documento che parla sì di transizione politica ma senza alcun intervento esterno. Fonti vicine a Staffan de Mistura hanno parlato di un documento “sostanzialmente vuoto”.
L’opposizione insiste molto anche sulla liberazione dei prigionieri politici e sugli aiuti umanitari. Rispetto a un mese fa le Nazioni Unite, insieme alla Croce Rossa e alla Mezzaluna Rossa, sono state in grado di portare aiuti a oltre 250mila persone, ma la maggior parte dei siriani che vivono sotto assedio, da una parte e dall’altra, non ha ancora visto nulla. Succede anche alla periferia di Damasco.
Anche per quanto riguarda i tanti detenuti nelle carceri siriane, decine se non centinaia di migliaia di persone, siamo in una situazione di stallo. “Nelle prigioni siriane ci sono tantissimi civili innocenti – ha detto il coordinatore per gli aiuti umanitari dell’ONU, Jan Egeland – le persone più fragili vanno fatte uscire subito”. Ovviamente, vista la chiusura storica del regime di Damasco, nessuno, a parte lo stesso governo siriano, conosce il numero reale dei prigionieri politici.
Dopo questa seconda settimana di colloqui ci dovrebbe essere una pausa di una decina di giorni. Ma prima dello stop è fondamentale fare dei passi in avanti sulla questione politica. Altrimenti il negoziato rischi di saltare anche questa volta. La chiave di tutta questa storia, ancora una volta, potrebbe essere fuori dalla Siria. L’attenzione è sull’imminente visita del segretario di stato americano, John Kerry, a Mosca.
La Russia ha ritirato una parte dei suoi mezzi e dei suoi uomini dalla Siria, ma rimane l’unica in grado di fare pressione su Bashar al-Assad, affinché accetti una vera transizione politica. Putin ha dimostrato di non volere una guerra infinita in Siria. In queste ore ha minacciato di colpire i gruppi ribelli chi violano la tregua in vigore da fine febbraio. Dichiarazioni che sembrano indirizzate agli Stati Uniti, proprio alla vigilia del viaggio di John Kerry a Mosca. Pressioni in vista di una trattativa diretta tra Stati Uniti e Russia.
Rientra però nei piani del Cremlino un accordo politico sulla Siria in questo momento? E in questi piani c’è ancora posto per Bashar al-Assad?