Da vice-presidente di Barack Obama Joe Biden si è occupato molto di politica estera. E anche la sua precedente carriera politica, oltre 35 anni al senato, lo aveva messo di fronte a diverse crisi internazionali. La politica estera della futura amministrazione sarà quindi anche il risultato di un percorso piuttosto lungo e di un’esperienza diretta, sul campo, di diversi anni.
C’è molta attesa, ovviamente, per capire come si riposizioneranno gli Stati Uniti dopo quattro anni di America First e di isolazionismo. Il dossier più delicato sarà probabilmente quello cinese, mentre quello a noi più vicino sarà quello delle relazioni tra Washington e l’Unione Europea. Ma il mondo osserverà con attenzione anche le mosse di Joe Biden in Medio Oriente, una regione dalla quale dipendono spesso diverse questioni d’interesse globale, dal mercato energetico ai flussi migratori, passando per l’integralismo islamico.
In generale possiamo dire che l’arrivo di Biden alla Casa Bianca non porterà una rivoluzione nei rapporti tra Stati Uniti e Medio Oriente, ma alcuni cambiamenti ci saranno, e saranno anche importanti..
La priorità sarà l’Iran. Biden cercherà sicuramente di riattivare l’accordo sul programma nucleare firmato nel 2015 proprio dall’amministrazione Obama. Non lo farà senza una contropartita, e chiederà a Teheran di fare un passo indietro nello sviluppo della tecnologia nucleare. Il governo americano non potrà nemmeno compensare le perdite economiche provocate dalle tante sanzioni di Trump, ma attraverso cercherà di rassicurare gli iraniani sul fatto che da questo momento si tornerà alla diplomazia. Da capire anche se verranno ritirate le sanzioni non direttamente legate al programma nucleare. In questo delicato riavvicinamento a Teheran potrebbe essere importante il supporto dell’Europa, che in questi anni ha cercato di tenere in piedi, in realtà con pochi risultati, l’intesa di cinque anni fa.
Il probabile riavvicinamento all’Iran avrà anche altre conseguenze in Medio Oriente, per esempio sui rapporti con le monarchie del Golfo, che sul piano regionale sono, insieme a Israele, i nemici di Teheran.
Anche qui non ci dovrebbero essere rivoluzioni, ma la promessa di prestare molta più attenzione ai diritti umani potrebbe raffreddare i rapporti con gli Emirati Arabi e soprattutto con l’Arabia Saudita. Questo vale per quello che succede all’interno di questi paesi – la repressione del dissenso – ma anche all’esterno, pensate al caso Khashoggi oppure alla guerra in Yemen.
La futura amministrazione Biden potrebbe per esempio bloccare la vendita di armi a Riad.
Tutto questo potrebbe essere bilanciato dal tentativo di promuovere e facilitare un dialogo proprio tra Iran e le monarchie del Golfo.
Anche l’attuale governo israeliano potrebbe essere un po’ preoccupato del cambio della guardia alla Casa Bianca. Preoccupato ma non troppo. Netanyahu sta infatti per perdere “il migliore amico di Israele mai stato alla Casa Bianca” (le sue parole), ma l’alleanza storica tra i due paesi non verrà toccata. Anzi, Biden lascerà probabilmente l’ambasciata americana a Gerusalemme e confermerà anche il riconoscimento delle Alture del Golan, al confine siriano, come territorio israeliano.
Oltretutto durante la campagna elettorale il candidato democratico ha definito come molto positivo il riconoscimento di Israele da parte di Emirati Arabi, Bahrain e Sudan, voluto e negoziato proprio dall’amministrazione uscente di Donald Trump.
Come in passato difficile invece ipotizzare un impegno specifico per la pace tra israeliani e palestinesi. L’amministrazione democratica dovrebbe comunque riattivare i finanziamenti diretti o indiretti, attraverso le Nazioni Unite, all’Autorità Nazionale Palestinese, così come dovrebbe riaprire la sua rappresentanza a Washington.
Questi i principali dossier.
Rimangono poi Nord Africa, Turchia e Siria.
In Nord Africa non sono attesi grossi cambiamenti, se non una maggiore rigidità nei confronti del presidente egiziano al-Sisi, ancora una volta per la questione dei diritti umani e chissà se questo porterà a un atteggiamento diverso anche da parte dell’Europa.
I rapporti con la Turchia, temono ad Ankara, potrebbero essere un po’ più difficili. In campagna elettorale Biden ha criticato per esempio più volte l’intervento turco nel Nagorno-Karabakh, nel sud del Caucaso.
In Siria, infine, dovrebbe essere confermato l’approccio di Trump. Gli Stati Uniti manterranno una minima presenza nel nord-est, la zona a maggioranza curda, dove l’unico cambiamento potrebbe essere un maggior dialogo con le organizzazioni politiche e militari che negli anni scorsi hanno fatto il lavoro sporco nella guerra allo Stato Islamico. Probabilmente nulla di più. Fu in effetti la stessa amministrazione Obama, con Biden come vice-presidente, a mollare fin da subito l’opposizione siriana a causa della radicalizzazione dei gruppi armati e dell’intervento di diversi attori regionali. Rimarranno le sanzioni al regime di Assad.