Il governo Meloni ha un grosso problema, che al ministero dell’Economia conoscono molto bene: i conti non tornano. Ci sono 12 miliardi da tagliare sul deficit che chiede l’Europa e una manovra colma di promesse da portare a casa. Il rischio è dover fare pesanti tagli, o alzare le tasse. La svendita di pezzi pregiati dello stato, quote di Eni o della Poste, non darà gran chè. Con le riforme fiscali, la base fiscale si è ridotta col 25% dei contribuenti che paga oltre il 70% di tutta l’Irpef.
Il governo allora punta su uno strumento: il concordato fiscale biennale, per recuperare soldi. Ma il concordato parte il 15 giugno, e con i messaggi lassisti sul fisco, il rischio è che le adesioni, quindi le entrate, siano sotto le stime. E con ogni probabilità da qui che il deus ex machina del fisco del governo, l’uomo di Meloni Maurizio Leo, fa proprio ora quel decreto attuativo, dimenticato da 6 anni, sul redditometro: non perché lo strumento serva in sé, ma per lanciare un messaggio: aderite al concordato o vi controlliamo. Questo almeno si dice nei corridoi del parlamento. Insomma, la disperazione di rimediare denaro pesa più della campagna elettorale, sottovalutazione cruciale: se Fratelli d’Italia inizialmente si intesta la mossa di Leo,gli alleati saltano alla giugulare Forza Italia parte in quarta e la Lega, che esprime il ministro dell’economia, le va subito dietro alzando i toni. Sia mai che il loro elettorato di piccoli imprenditori e autonomi abbia da ridire.
A proposito: il ministro dell’economia, su cui Leo puntava per avere almeno la disattenzione della lega, e che ben sa quanto il governo abbia bisogno di soldi, tace da due giorni. Non può più tacere, davanti al disastro politico e comunicativo a due settimane dal voto, Meloni. Che ribadisce il suo messaggio: non disturbiamo chi produce. Trasformando in boomerang l’iniziativa del viceministro Leo, tecnico stimato, da vent’anni in politica, divenuto rapidamente capro espiatorio.