Quello in discussione nel parlamento di Ankara è il grande progetto di Erdogan. Il presidente turco ci lavora da tempo. In questi ultimi anni tutte le sue scelte politiche avevano come ultimo obiettivo proprio quello di arrivare a una riforma della Costituzione che ufficializzasse il nuovo ruolo di capo dello Stato. Oggi Erdogan ha già un grandissimo potere, ma passare a un sistema presidenziale al posto di quello parlamentare in vigore alla nascita dello Stato turco ai tempi di Atatürk sarebbe un’altra cosa.
In Turchia le modifiche della Costituzione richiedono la maggioranza dei tre quinti del parlamento. All’Akp, il partito di Erdogan, mancano 14 seggi. I voti necessari dovrebbero arrivare dai nazionalisti dell’Mhp. Il loro leader ha già detto che voterà a favore. Non tutti i suoi colleghi sono d’accordo e anche all’interno del partito di governo ci sono voci contrarie. Il passaggio della riforma non è certo, ma è altamente probabile. Il voto finale è previsto entro fine gennaio. In caso di esito positivo in primavera ci sarà un referendum popolare.
La riforma consentirebbe al presidente della repubblica di nominare e licenziare i ministri e i più alti funzionari pubblici, gli permetterebbe di introdurre lo stato d’emergenza senza il voto dal parlamento, lo lascerebbe, anche ufficialmente, alla guida del suo partito.
Attraverso patti politici e voti di fedeltà in sostanza Erdogan ha già questi poteri, ma un sistema presidenziale alleggerirebbe il meccanismo decisionale a suo vantaggio. Non ci sarebbero più variabili e quindi possibili intoppi lungo il percorso.
L’aspetto più importante riguarda però la permanenza di Erdogan sulla sua poltrona. La riforma prevede per il presidente due mandati di cinque anni. Non specifica se e come debbano essere considerati i mandati precedenti alla sua entrata in vigore, ma è altamente probabile che non vengano tenuti in considerazione. Sulla carta Erdogan dovrebbe poter fare due mandati, dal 2019 (le prime elezioni con il nuovo sistema) al 2029. Risultato: l’attuale presidente rimarrebbe alla guida del paese per 26 anni. Dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 al 2029 come capo dello Stato.
Partendo proprio da quest’ultimo elemento è difficile non concludere che l’obiettivo di questa operazione sia garantire a Erdogan il controllo assoluto del Paese. Il presidente turco e i suoi sostenitori spiegano che un sistema presidenziale garantirebbe maggiore stabilità politica, indispensabile per consentire un nuovo sviluppo sociale ed economico. Gli oppositori sostengono invece che sarebbe l’ultimo passaggio verso un sistema autoritario. Viste le attuali turbolenze – attentati terroristici, Isis, guerra in Siria, campagna contro i curdi, la battaglia contro contro la rete di Fetullah Gulen – un esecutivo forte e un processo decisionale più snello sembrerebbero la risposta giusta a tutti quei turchi che chiedono maggiore sicurezza. Ma il rischio è che succeda esattamente il contrario.
I tanti problemi della Turchia di oggi andrebbero combattuti con un sistema statale molto più efficiente e soprattutto attraverso la loro soluzione alla radice. Aumentare i poteri del capo dello Stato darebbe sì l’idea di un governo forte, in grado di garantire sicurezza ai suoi cittadini, ma di per sé non sarebbe in grado di risolvere nemmeno uno di quei problemi che hanno fatto della Turchia una vera e propria polveriera.