Nel Decreto Sostegni c’è anche un pacchetto di 6 miliardi destinato a cercare di mitigare la fine del blocco dei licenziamenti. Sono, sostanzialmente, contributi alle imprese, ed una breve proroga di due mesi del blocco, in scadenza al 30 giugno, che non era prevista nella bozza iniziale e che è stata inserita durante il Consiglio dei Ministri. Ma non è detto che basti a risolvere il problema.
Alla fine il Ministro del Lavoro Orlando strappa il contentino: blocco dei licenziamenti prorogato di 2 mesi per le aziende che chiedono la cassa COVID entro fine giugno. Da luglio le aziende che utilizzano la cassa ordinaria non dovranno pagare le addizionali, a condizione che non licenzino.
Una mediazione con gli oltranzisti della fine del blocco, convinti dal rischio di una situazione sociale esplosiva. Tra lavoratori e sindacati c’è già allarme, come si capisce anche dalle segnalazioni a Radio Popolare. Come la storia di Luca, 55 anni, che lavora in una multinazionale farmaceutica. “Io sono stato tra virgolette fortunato perché un dirigente ha già avvertito che alla prima occasione buona lasciano a casa me ed il mio contratto da 25 anni di lavoro qui, e la prima occasione buona sarà la fine del blocco dei licenziamenti. Per cui mi sono messo il cuore in pace e mi preparo ad impugnare il licenziamento in tribunale, perché lo scivolo che mi hanno offerto è ridicolo. Altri – continua Luca – non hanno nemmeno avuto la fortuna di essere avvertiti, e saremo in tanti”.
Furio, invece, fa il sindacalista nella provincia di Milano, e racconta delle migliaia di aziende in cassa integrazione “pronte ad approfittarne in vista degli sgravi. La situazione è un putiferio”, conclude. C’è anche chi come Mauro, fortunato tra gli sfortunati, ha potuto approfittare di un incentivo alla pensione: “Lavoro nel turismo. A fine 2020 mi hanno detto che l’anno prossimo ci avrebbero lasciati a casa in tanti, e che mi conveniva sfruttare i soldi che mi davano per andare in pensione in anticipo. Così mi sono salvato”, racconta. Centinaia di migliaia di persone rischiano il posto nella manifattura, nelle piccole e medie imprese e servizi, dove per chi ha usufruito della cassa in deroga la fine del blocco è confermata a novembre.
L’altro pezzo del tentativo di mitigare la fine del blocco è il “contratto di rioccupazione”. Le imprese che assumeranno un disoccupato a tutele crescenti avranno il 100% di esonero dei contributi per 6 mesi, a patto di non licenziare nei 6 mesi precedenti, e confermare poi il contratto, pena la restituzione del bonus. Si rimanda così parte del problema all’autunno, sperando che porti una decisa ripresa che calmi la voglia di licenziare delle imprese. Ma la domanda è: alle imprese conviene? Nel futuro Recovery Plan infatti sono previsti incentivi per miliardi, che, come fanno notare i sindacati, allo stato attuale non sono vincolati ad una qualità contrattuale od a livelli salariali.
Il timore, tra i delegati, è che le imprese scelgano comunque i licenziamenti collettivi, liberandosi di quei contratti più duraturi, tutelati, e meglio retribuiti per sostituirli tra qualche mese con contratti più precari e meno onerosi, sfruttando i futuri sgravi. Tradotto dal punto di vista aziendale: Quante imprese non vorranno perdere le competenze costruite in questi anni a fronte dei possibili risparmi? “Non è un mistero che molte imprese se ne approfitteranno biecamente: contratti meno onerosi, senza articolo 18, gli danno pure gli incentivi… si stanno preparando a fare questa cosa qua” conferma Furio. Al netto dell’altro tassello che manca: la riforma degli ammortizzatori sociali promessa per luglio dal ministro Orlando.