Nelle città dell’Ungheria sono ricomparsi i cartelli governativi a sfondo azzurro, come quelli che un anno fa ammonivano i migranti a non portare via il lavoro agli ungheresi. Questa volta il messaggio dell’esecutivo guidato da Viktor Orbán è rivolto principalmente all’elettorato ed è stato concepito a sostegno del referendum che il premier e i suoi più stretti collaboratori intendono tenere a settembre o a ottobre. Tema della consultazione popolare la politica delle quote obbligatorie di accoglienza dei migranti voluta dall’Unione europea. Il referendum, che è stato approvato dal Parlamento lo scorso 10 maggio, prevede di chiedere agli aventi diritto il loro parere sulle quote con la domanda: “Volete che l’Unione europea disponga l’insediamento di cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del Parlamento ungherese?”.
Per il governo è inaccettabile che Bruxelles pretenda che i cittadini di un paese membro accettino una condizione imposta da poteri esterni scavalcando il parere dei parlamenti nazionali. Più volte le autorità ungheresi e quelle degli altri Paesi facenti parte del Gruppo di Visegrád, ossia la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia, si sono espressi negativamente nei confronti della politica delle quote che secondo il governo di Budapest non farebbe altro che incentivare l’immigrazione e gli affari dei trafficanti di esseri umani. In perfetta sintonia con il governo ungherese, le autorità slovacche e quelle ceche hanno affermato di recente di considerare inaccettabile questo sistema e le sanzioni previste per i Paesi che si rifiutano di ospitare i rifugiati. Il disaccordo su questi punti tra l’esecutivo magiaro e l’Unione europea è noto da tempo così come è nota la critica di Budapest alla politica di Bruxelles in ambito migranti che Orbán considera falsamente buonista e comunque incapace di affrontare una crisi che a suo modo di vedere mette a repentaglio la sopravvivenza stessa dell’Europa.
In più occasioni il premier danubiano ha avuto modo di chiarire il suo parere sui flussi migratori che considera negativi da tutti i punti di vista. Orbán e il suo governo affermano apertamente di non vedere di buon occhio il fatto che persone di altra cultura e religione si mescolino ai cittadini ungheresi. A loro avviso la cosa non può funzionare come dimostra il fallimento del modello multiculturale sostenuto dall’Europa occidentale. Un modello che secondo il primo ministro di Budapest ha mostrato le sue vistose crepe in Francia e nel Regno Unito e che i paesi dell’Europa centro-orientale non vogliono accettare. L’opposizione politica e gli ambienti progressisti della società ungherese stigmatizzano il nesso fra l’immigrazione e il terrorismo fatto dal governo ungherese, ma Zoltán Kovács, portavoce dell’esecutivo sostiene che è la realtà dei fatti a stabilire questa relazione, non la compagine governativa di Orbán. Quest’ultima sostiene le ragioni del referendum anche se, secondo diversi esperti di diritto internazionale, questa consultazione è illecita in quanto la “Legge fondamentale” ossia la Costituzione voluta dal governo, vieta lo svolgimento di referendum su trattati e accordi internazionali. A loro avviso, inoltre, il referendum non avrebbe alcuna influenza sugli apparati decisionali dell’Unione europea. Ora l’Alta corte è impegnata nell’esame di un’obiezione fatta contro il referendum, se il test dovesse svolgersi e se dovessero vincere i no, il governo potrebbe usare il risultato di questa consultazione per dimostrare all’opposizione e all’Unione europea di avere l’appoggio della maggioranza della popolazione.