Avrebbe potuto sottrarre alle regioni la campagna sui vaccini. Ha deciso di non farlo. Nonostante le regioni italiane stiano dimostrando, con poche eccezioni, di non essere all’altezza del compito. Con esempi disastrosi, su tutti la Lombardia, con disfunzionalità che fanno sì che i già pochi vaccini vengano spesso lasciati nei frigoriferi, o con situazioni in cui i criteri con cui vengono decise le priorità sono perlomeno discutibili, i primi mesi della campagna vaccinale hanno dimostrato tutti i limiti dell’organizzazione regionale. Il governo Draghi è nato con la grande promessa di fare presto e bene nelle vaccinazioni. Fino a ora oltre alle promesse non si è andati. Non ci sono più le primule di Arcuri, ma non ci sono ancora i suoi sostituti. E il tempo passa.
La garanzia di una accelerazione fino a 500mila vaccinazioni al giorno si riferisce sì ad aprile ma alla fine di aprile. E ieri Draghi ha spostato l’asticella ancora un po’ più in là, ai primi di maggio per vedere tutto funzionare al meglio. E il tempo passa. Il governo ha deciso di mettere a disposizione delle regioni che non ce la fanno una struttura governata da Roma che fa perno su Esercito e Protezione Civile. Avrebbe potuto imporla, accentrare la campagna di vaccinazione una volta per tutte. Ha deciso di rinunciarci. Sarà una opzione facoltativa. Gli interessi politici dei partiti che stanno nella maggioranza, pensiamo alla Lega che domina in Lombardia ma anche al Pd che governa in Campania, in Puglia, in Toscana, tanto per fare degli esempi, hanno prevalso. Ieri 386 morti in Italia, solo 17 in Gran Bretagna dove le cose invece procedono al meglio. A quali responsabilità vanno ascritti questi morti in più?
Foto | Il premier Mario Draghi