Vallate selvagge dove lo sguardo non riesce a cogliere tracce di presenza umana. Mandrie di cavalli bradi. La carcassa di un equino sbranata da un branco di lupi. Un paio di poiane che percorrono ampi cerchi nel cielo, in attesa di fiondarsi verso una preda. E’ l’entroterra del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diana.
Il mare di Palinuro dista decine di chilometri e centinaia di curve. In compenso davanti a me c’è un oceano di orchidee selvatiche. La mia guida è un omone sulla cinquantina. Conosce le erbe medicinali meglio di uno sciamano nativo americano. “Sono farmacista” ci racconta il professor Nicola di Novella “ma non mi è mai piaciuta l’attività dietro il banco”. Così da anni raccoglie le piante spontanee nel loro ambiente naturale. Conosce, una per una, le 184 entità tra specie, sottospecie, variabilità ed ibridi di orchidee che popolano gli assolati valloni calcarei a una manciata di chilometri da Sassano. “Se non vengono qui i botanici non vedranno mai certe varietà di ibridi” afferma con orgoglio dopo avermi mostrato una orchis simia, un’orchidea che deve il suo nome al fatto che i suoi fiori sembrano una serie di scimmiette che si arrampicano sul fusto centrale dello spigastro. “Vedi quel carpino? Il suo sviluppo genetico è ormai arrivato al culmine. Al massimo ora può solo estinguersi. Le piante, nelle loro forme primarie come le alghe, sono sulla terra da quasi due miliardi di anni. Le orchidee invece sono spuntate dopo l’ultima glaciazione e ne hanno solo diecimila. Sono delle neonate e si stanno ancora evolvendo…”. Oltre ad una mandria di cavalli bradi che pascolano tra i fiori, incontriamo un olandese, appassionato di orchidee. Ogni anno si prende una settimana di vacanza per andare a fotografarle. Stenta a credere a quello che ha davanti agli occhi. La mia guida gli mostra un ibrido che deve essere più raro di un Gronchi Rosa, e per il figlio della terra dei tulipani è come essere colpito da un uppercut. Per farlo riprendere lo portiamo a casa del professore, dove il dialogo continua con frasi lapidarie del tipo: “L’orchidea sta al regno vegetale, come l’uomo sta a quello animale”.
E’ la cronaca del mio primo approdo, anni fa, nella Valle della Orchidee. E sarà proprio il professor Nicola di Novella ad accompagnare i viaggiatori di Radio Popolare alla scoperta della valle.
Altra tappa del nostro viaggio in Cilento (25-28 agosto): Pertosa. La località è nota per due motivi: le Grotte dell’Angelo e i suoi carciofi bianchi. L’incontro ravvicinato con i carciofi bianchi avverrà a tavola: bruschette con crema di carciofo, zuppa di fave e carciofi, carciofi ripieni. Un intero menù basato sulla prelibatezza culinaria locale. La seconda eccellenza di Pertosa è la grotta dell’Angelo, una sorta di Postumia del Mezzogiorno con l’aggiunta che è che il tratto iniziale delle grotte è invaso dalle acque del Negro, un fiume sotterraneo che è possibile percorrere a bordo di alcuni natanti, inoltrandosi lentamente nelle viscere della terra. Una volta sbarcati sono previsti più percorsi e itinerari guidati. Un paio percorrono settori ipogei marcatamente speleologici, e per visitarli bisogna armarsi di stivali, torcia e caschetto. Così bardati, con i piedi nell’acqua, si risale il Negro sino alla sua polla sorgiva, dove il buio ed il silenzio sono da sempre dominatori incontrastati. L’alternativa più turistica a questa sorta di viaggio al centro della terra si snoda per circa ottocento metri in un percorso caratterizzato dal succedersi di ampie cavità all’interno delle quali è possibile osservare imponenti gruppi stalattito-stalagmitici e straordinarie concrezioni. Una scenografia ideale per l’inferno dantesco, che vi viene rappresentato con successo da qualche anno. Illuminate da opportune luci le stalagmiti si sollevano dal suolo come grida disperate. Fiammelle inquiete brillano nella maestosa grandezza delle grotte in cui compaiono improvvise le anime erranti, attori che declamano qualche verso e poi svaniscono via rapidi nel buio. Sale dal soffitto basso e chiaro, da cui pendono migliaia di mammelle pietrificate. Il Conte Ugolino ripete all’infinito la sua disperazione. Più avanti una somma di orrori del nostro tempo, rappresentati dalle fotografie di Hitler e Stalin, Saddam Hussein e Bin Laden, rimembrano l’inferno nostro contemporaneo. Un gioco un po’ lezioso, che però non è privo di fascino.
Una volta usciti “a riveder le stelle” punterem su Sant’Angelo a Fasanella. Ci si arriva con una strada impervia che sale attraversando il bosco di Corleto. Le piante hanno una densità elevata e in più di un caso impediscono la visione del cielo. La temperatura si abbassa repentinamente e, dopo aver superato un passo a quasi 1200 metri d’altitudine, si rotola velocemente sino a un paese che vive sospeso fuori dal mondo. Non esistono edicole e si fa fatica a trovare un bar dove bersi un caffè. In compenso Sant’Angelo ha due tesori. Il primo è uno sterminato campo da calcio in erba sintetica che una mente estrosa ha piazzato dove c’era la piazza del paese.
Il secondo è la grotta santuario di San Michele Arcangelo. In età paleolitica era abitata, è gigantesca: lunga 75 metri può ospitare 400 persone. La tradizione vuole che sia stata lavorata dagli angeli, ma fossero stati anche dei muratori bergamaschi il risultato finale è di un’eleganza che lascia sconcertati. Un altare dedicato all’Immacolata Concezione, protetto da un baldacchino ligneo. Sarcofaghi e tombe addossate alle pareti. Un vecchio organo. Tutto è pregno di storia e mistero. Un’oretta di curve e si può visitare anche l’orgoglio locale: la certosa di san Lorenzo a Padula. E’ un immenso monastero del XIV secolo, uno dei più grandi al mondo, che nel corso della sua storia travagliata è stato utilizzato anche come campo di concentramento e come orfanotrofio. La certosa si offre ai visitatori spoglia della quasi totalità dei suoi interni, finiti in musei francesi e napoletani.
Questo non impedisce di rimanere affascinati dagli sterminati chiostri, dai raffinati stucchi del refettorio, dalla ricca cappella del priore, dalle confortevoli celle dei frati, dal pavimento ricoperto da mattonelle in ceramica di Vietri sul Mare della biblioteca, dalle sue 41 fontane… Achille Bonito Oliva negli scorsi anni ha curato un progetto grazie al quale alcune celle dei monaci sono diventate ateliers dove hanno lavorato artisti come Michelangelo Pistoletto, Sandro Chia, Jan Fabre, Mimmo Palladino, Toni Servillo… Oggi le loro opere convivono con l’austerità delle celle monacali, creando una intrigante collezione permanente. E’ però opportuno evitare la figuraccia di scambiare per arte contemporanea anche l’enorme tegame appoggiato al muro nel prato verso l’uscita dalla certosa, perché è solo… un tegame. Serve per cucinare un’enorme frittata, con cui ogni 10 di agosto viene rievocata quella delle mille uova che nel 1535 i cenobiti cucinarono per l’esercito di Carlo V di Spagna, ospite nella certosa di ritorno dalla vittoriosa battaglia di Tunisi contro i Barbareschi.
Come ogni viaggio targato Radio Popolare è prevista un’abbondante colonna sonora live. In questo caso il pusher sarà il Negro Festival, un appuntamento di musica e cultura etnica che da ventidue anni ha messo radici a Pertosa. L’edizione 2017 ha come sotto titolo “Anime. Profondità in musica” e un cartellone ricchissimo, a cui potremo attingere tutte le sere. Da Levante, la nuova protagonista della musica indipendente, a Enzo Avitabile, accompagnato dai Bottari di Portico. Da Lucilla Galeazzi, esponente storica della canzone popolare, agli Osanna e al Banco del Mutuo Soccorso, le due anime fondamentali di quel grande movimento musicale italiano, esploso negli anni ’70 che ha saputo portare la nostra musica più creativa e completa ai vertici del rock internazionale. Ma anche La Classica Orchestra Afro Beat, un ensemble di 14 elementi con una doppia anima: la musica classica e l’interiorità del continente “madre”, l’Africa.
Riascolta la puntata di Onde Road sul Cilento profondo
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