La vicenda della Lombardia, comunque vada finire e chiunque abbia sbagliato, affossa la credibilità del sistema a zone. Il meccanismo in base a cui a Roma si decidono le odiate restrizioni nelle regioni, sulla base dei dati comunicati però dalle Regioni stesse, alimentando dubbi sulla gestione dei numeri con cui di fatto le Regioni dovrebbero autocondannarsi alle chiusure.
Un sistema molto discusso dallo stesso mondo scientifico, per i parametri opachi: è di quest’autunno la petizione per avere dati più trasparenti. O per i dubbi ad esempio sulla misurazione dell’RT, un parametro realistico fino a che funziona il sistema di tracciamento, ma che perde credibilità quando il sistema, come da ottobre a questa parte, è saltato. Soprattutto facilmente e legalmente aggirabile.
Vuoi avere meno contagi? Basta diminuire i tamponi. O come il caso della provincia di Trento: la peggiore per saturazione delle terapie intensive, ma mai neppure arancione. Un gruppo di scienziati ha ipotizzato che questo sia dovuto al gioco dei test molecolari, effettuati e non registrati, e dei tamponi ri-effettuati sugli stessi soggetti quando questi si fossero negativizzati, diminuendo così l’incidenza apparente.
La strategia di convivenza col virus è la base ideologica del sistema a zone. In Europa ormai ci si chiede se non sia stata la causa della nascita e circolazione delle varianti più aggressive. Ma è stata efficace? Le restrizioni ovviamente hanno abbassato i contagi, risaliti poi appena allentate, creando una duplice esasperazione, sul piano della salute e su quello economico, per l’estenuante tira e molla di chiusure/riaperture spesso incomprensibile. Mantenendo così i nuovi positivi stabilmente tra i 10-15 mila, il flusso in entrata in terapia intensiva intorno ai 150, i morti in media sui 400 al giorno. Non proprio un successo.