«Cittadini voglio dirvi questa sera che mai siamo stati, che mai da quarant’anni l’Europa è stata in una situazione più minacciosa e più tragica che quella in cui siamo in questo momento. In un’ora così grave, così piena di pericoli per noi tutti e per tutte le patrie, non voglio attardarmi a cercare a lungo le responsabilità. Noi abbiamo le nostre. Ma dico che abbiamo contro di noi, contro la pace, contro la vita degli uomini e delle donne in questo momento delle forze terribili… » Guerra
Non sono le parole di Emanuel Macron o di un altro uomo di stato europeo a conclusione di una delle tante riunioni al vertice sulla guerra in Ucraina di questi giorni.
Sono le parole di Jean Jaurès, il leader dei socialisti francesi, il 25 luglio 1914 in un comizio a Lione, di fronte all’imminenza di quella che diventerà la Prima Guerra Mondiale. Un appello accorato e solenne a comprendere e contrastare quelle che Jaurès chiama «le forze terribili» che spingono alla guerra. Forze che sono immanenti e inerenti a ogni conflitto; generate meccanicamente con una logica implacabile dalla dinamica stessa del conflitto. Un appello a comprendere che la guerra una volta cominciata, negli atti ma anche nelle parole, impone una logica propria e inesorabile che si alimenta in una sorta di autocombustione che tende a moltiplicarsi ed espandersi fino a occupare tutto l’orizzonte, anche del pensiero.
Insomma che tra bellicoso e belligerante non c’è differenza di natura ma soltanto di calendario, che i belligeranti di oggi sono stati sistematicamente i bellicosi di ieri…e spesso viceversa. In altre parole che non è mai troppo presto per dedicarsi alla pace e che ogni atto o parola che serve la guerra, pur invocando la pace, contribuisce immancabilmente alla logica del conflitto.
Tre giorni dopo questo disperato e profetico appello Jean Jaurès è assassinato a Parigi e cinque giorni dopo il 3 agosto 1914 comincia la Grande Guerra la prima mondiale con i suoi 10 milioni di morti. I tempi sono cambiati, gli attori non sono più gli stessi e al di là delle iperboli l’epoca degli imperi non è di ritorno. Ma la logica immanente e immane della guerra quella non è cambiata. È ancora drammaticamente la stessa: macina i corpi e gli spiriti come sempre. E va decifrata e combattuta a ogni istante.
Ogni nuova sanzione contro la Russia; ogni nuova arma fornita all’Ucraina; ogni relazione economica, culturale, affettiva tagliata o soppressa tra l’Europa e la Russia; ogni nuovo soldato della NATO dispiegato sul fronte dell’est; ogni nuovo miliardo speso per il riarmo da un paese europeo; ogni nuova candidatura di un paese neutrale all’entrata nell’alleanza militare atlantica; ogni chiusura di un negozio o di una fabbrica occidentale in Russia; ogni nuova soppressione di un autore russo nelle università occidentali; ogni nuova esclusione di un atleta russo dallo sport internazionale; ogni nuova dichiarazione di potenza e intransigenza, ogni nuova minaccia, ogni nuova promessa di ritorsione… Ognuno di questi atti e parole, per quanto urgenti e legittimi a sostenere l’Ucraina aggredita nel rapporto di forza contro l’aggressore russo, sono anche ogni volta carburante per la logica inerente della guerra, per il suo possibile allargamento e aumento d’intensità.
Una logica che, contrariamente agli incantesimi dei profeti liberali, la mano invisibile del mercato non può fermare: il fatto che l’Europa fosse prima della guerra il principale partner economico della Russia non ha bloccato l’inesorabile macchina bellica. Sempre per citare Jaurès nello stesso storico appello contro la Prima Guerra Mondiale: «il capitalismo porta la guerra in seno come la nuvola porta la pioggia».
Ci vorrà un atto volontario di lucidità e umiltà per ritrovare nel furore della frenesia bellicista il cammino impervio della pace.
Cominciando magari a pensare che la Terza Guerra Mondiale non è una minaccia a venire, ma una realtà già in progressione che va fermata il prima possibile.