Una delle due saghe familiari sul capitalismo americano arriva in Italia il 30 ottobre, mentre l’altra è ancora senza data d’uscita, ma negli Stati Uniti sono andate in onda entrambe durante la scorsa estate facendo tracciare agli spettatori inevitabili similitudini: parliamo di Succession, in partenza questa settimana su Sky Atlantic, e dell’inedita Yellowstone.
Le ambientazioni, in verità, non potrebbero essere più distanti e apparentemente opposte: Succession si svolge a Manhattan, tra i lussuosissimi appartamenti dell’Upper East Side e i grattacieli della finanza di Wall Street, al centro della vicenda ci sono una mega-corporation delle telecomunicazioni, ispirata a quelle di Rupert Murdoch e Ted Turner, e la famiglia che la possiede e amministra, con un patriarca onnipotente e tirannico (interpretato da Brian Cox), e la prole che aspetta una fetta della torta. Prodotta dalla prestigiosa rete HBO, è scritta da Jesse Armstrong (sceneggiatore britannico di The Thick of It) e prodotta da Adam McKay, che in questi territori si muove molto bene come ha dimostrato nel suo film La grande scommessa.
Yellowstone, invece, come suggerisce il titolo è ambientata tra il Montana e il Wyoming, ma non nell’omonimo parco bensì in un gigantesco ranch confinante, di proprietà della potente famiglia di allevatori Dutton. Interamente scritta e diretta da Taylor Sheridan, uno degli sceneggiatori più riconoscibili degli ultimi anni (sono suoi gli script di Sicario, Soldado, Hell or High Water e Wind River), vanta Kevin Costner come star nei panni del capofamiglia, padre di quattro figli molto diversi, con cui ha rapporti conflittuali.
Ed ecco che vengono a galla le similitudini: che sia l’ambientazione chic metropolitana della Grande mela o quella evidentemente western del Montana, in entrambi i casi ci sono un padre padrone ingombrante, autoritario e spietato, eredi maschi indeboliti mai all’altezza e uniche figlie femmine più dure dell’acciaio, tutti riuniti in famiglie tanto abbienti e potenti da piegare ogni regola al proprio passaggio.
Il riferimento immediato – un leader unico, dittatoriale, dai metodi mai ortodossi e spesso criminali, immerso nei dollari fino ai capelli – è chiaramente all’attuale presidente degli Stati Uniti. Ma, in entrambi i casi immaginati dalle serie, si tratta di fotografie di mondi in disfacimento, giganti del passato in rovina assediati dal futuro: in Succession il business dei media tradizionali è minacciato da internet e dal cambiamento del panorama comunicativo, in Yellowstone gli sconfinati terreni su cui pascolano le mandrie dei Dutton sono stretti tra il parco naturale, una riserva indiana e le mire di uno speculatore immobiliare. Soprattutto, il modello di mascolinità testosteronica, aggressiva e conquistatrice, è messo in crisi: emblema stesso di un capitalismo marcio, che non riesce a smettere di consumare e consumarsi (ricordate The Wolf of Wall Street di Scorsese?), contamina ogni legame affettivo, ogni tentativo di fiducia umana, e restituisce personaggi danneggiati, comunità divise, famiglie spezzate.
A prima vista, entrambe le serie possono sembrare quasi soap di qualità, ostentazione del lusso compresa, e proprio per questo sono anche di grande intrattenimento (Succcession brilla pure di impagabili sferzate ironiche): ma sotto la superficie scintillante scorre l’America di oggi, tra tragedia e farsa, osservata da una prospettiva che spesso sottovalutiamo.