La sfida delle elezioni, fra sei mesi, sarà cruciale per l’Unione. L’avanzata dei partiti sovranisti potrebbe minare dall’interno la tenuta della costruzione europea. Romano Prodi la guarda con grande preoccupazione.
L’ex presidente del consiglio e della Commissione europea non ha dubbi: o si cambia o si muore. Ma la risposta non può essere quella di chi propone il ritorno agli Stati nazionali. E non perché l’Unione europea non abbia gravi difetti e non abbia commesso errori clamorosi. Ma perché il mondo, oggi, impone di stare insieme, nonostante tutto. In questa intervista il Professore propone una strada per chi vuole cambiare l’Europa, ma non abbandonarla.
Siamo a sei mesi dalle elezioni europee, qual è secondo lei la posta in gioco per l’Unione Europea di queste elezioni?
Per l’Unione Europea la posta in gioco è quella di esistere. Pian piano l’UE si ritirata negli ultimi anni, il potere è passato dalla Commissione al Consiglio, cioè dagli Stati membri, ed è mancato l’organismo sovranazionale. L’Europa ha fatto sempre meno politica e quindi la gente ha capito che non era quello il suo riferimento e per questo dobbiamo ritornare alle elezioni politiche modo che l’Europa riprenda il ruolo che aveva quando è stata fondata.
Evidentemente in una situazione come quella di oggi significa anche riprendere un ruolo nel Mondo. Se continuiamo così noi non esistiamo più di fronte agli Stati Uniti o di fronte Cina. Saremo sempre meno rilevanti. Se queste elezioni ridanno un potere e una capacità decisionale alle istituzioni europee, possiamo tornare ad essere qualcosa nel Mondo.
Oggi abbiamo un potere economico fortissimo e un potere politico inesistente. I miei studenti, quando ho cominciato ad insegnare in Cina, mi chiedevano dei seminari sull’Europa. Dopo 6 anni, l’ultimo anno che ho fatto non me l’hanno più chiesto: non esisteva più l’Europa. Questo è il problema. Oggi, invece, c’è un enorme bisogno di mediazione e di saggezza nella tensione con gli Stati Uniti.
Chi crede nell’Europa come può rispondere ai sovranisti che oggi accusano l’Europa facendo leva sul disagio delle persone. Quale può essere un argomento forte per ribattere?
Un argomento forte è mettere in fila le cose fatte, ma capisco che non è una risposta sufficiente perché bisogna guardare al futuro. Ai sovranisti bisogna dire che di fronte al Mondo di oggi il sovranismo non ha più nessuna possibilità di esistere, a meno che non si tratti di una struttura imperiale come possono essere gli Stati Uniti o la Cina. La risposta ai sovranisiti è “organizziamoci per stare insieme”. Per questo ci vuole un rapporto politico, bisogna che ci sia il senso della partecipazione alle elezioni e che il Parlamento resti al centro del potere futuro dell’Europa, ma anche che ci siano delle facce che fanno la politica europea e non semplicemente che si giochino il prestigio del loro Paese e poi vadano in Europa quasi da turisti, come un mestiere di secondo livello. C’è stato il grande errore di mandare come candidati elezioni europee quelli che venivano trombati, come si dice nel linguaggio popolare, alle elezioni nazionali. Questa non è una risposta ai sovranisti. La risposta ai sovranisti è quella di dire che la storia ci obbliga a stare insieme altrimenti scompariamo. Noi dobbiamo stare insieme mandando al Parlamento Europeo le nostre migliori energie.
Seguendo le elezioni che ci sono stati in diversi Paesi europei, c’è un elemento piuttosto interessante: un exploit degli ecologisti. Questa avanzata del tema ecologico può diventare anche un tema forte politicamente per i democratici europei e per chi punta sull’Europa oppure è stata una situazione molto estemporanea?
Penso che quella tedesca sia stata una situazione molto particolare. Oggi il problema ecologico deve essere patrimonio di tutti. Non ha più significato dire che l’ecologia è di destra o di sinistra. Il modo con cui metterla in atto e i programmi possono divergere, ma la priorità non può che essere condivisa da tutti. I cambiamenti li vediamo, i rischi li vediamo e di fronte a questo non c’è sinistra e non c’è destra. Vediamo l’esperienza cinese: rispetto all’ecologia hanno sempre tenuto il disprezzo più assoluto, poi quando si sono accorti di che cosa significava per il loro futuro è cambiato totalmente e immediatamente registro. Oggi è una priorità e non è cambiato il regime, non è cambiato il loro modo di governare, ma è cambiata la coscienza collettiva. Oggi credo che il problema ecologico debba essere patrimonio. La priorità non può che essere condivisa.
Pensando allo stato dell’Unione Europea di oggi e a quello che è stato il suo ruolo di presidente della Commissione, c’è qualcosa che non rifarebbe o che farebbe diversamente?
Bisognerebbe rifare diversamente la battaglia per la Costituzione Europea. È stato presentata al popolo francese in modo totalmente sbagliato, è stato bocciata e quello ha segnato la marcia indietro dell’Europa. Prima si andava verso nuovi obbiettivi, condivisi o no, ma l’allargamento, l’Euro e la politica commerciale comune sempre più approfondita o la politica della condivisione degli aspetti tecnici nei vari settori. C’era davvero un progresso continuo. La bocciatura della Costituzione è stato il grande passo indietro. Se ripenso al mio passato, quello è stato il momento della sconfitta.
Secondo lei ci sono dei giovani leader europei che possono riprendere in mano efficacemente il rilancio dell’Europa?
Oggi non ci sono, ma ci possono benissimo essere. Il problema è cominciare la battaglia politica. Il leader si afferma sul campo, non è mica una medaglia che gli danno. Ci vuole una battaglia politica livello europeo, magari un socialista francese contro un democristiano tedesco o viceversa oppure un ecologista italiano che si scontrino in una battaglia democratica a Bruxelles. In quel caso i leader salterebbero fuori.
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