Sono pochi in piazza per la chiamata alle arti di Milano contro la guerra, nel sesto sabato consecutivo di mobilitazione. C’è un camion con l’amplificatore e un palchetto per racconti, poesie, improvvisazioni.
Le bandiere e gli striscioni sono quelli di chi c’è sempre: centri sociali, Rifondazione, sindacati di base, Mediterranea. Ma in piazza molti sono venuti senza sigle. Ci sono tre giovanissime di Brugherio che hanno provato a coinvolgere la loro classe, sono venute con due professori e le mamme. Se chiediamo a loro perché la mobilitazione sembra diminuire, invece che crescere con gli orrori che si vedono, ci dicono che è perché è già diventata un fatto quotidiano non come nei primi giorni. Assuefazione e anche un po’ di rimozione dell’orrore per chi era uscito già scosso da due anni diversamente normali. La solita fottuta paura, insomma, di cui hanno colpa soprattutto i media, su questo sono tutti d’accordo.
I più vecchi dicono, niente di nuovo: siamo sempre stati soli in piazza come a fare volontariato, e lo siamo ancora oggi a portare aiuti con le carovane, ad accogliere i profughi nelle case, accompagnarli, aiutarli per inserire i figli a scuola, le istituzione arrivano sempre dopo, se arrivano e i media a puntare il dito contro di noi: le anime belle. Solo che questa volta la proporzione è davvero annichilente: sembra la campagna interventista della prima guerra mondiale.
E colpisce anche le aree vicine al pacifismo stavolta con molti se e ma. Sai cosa mi fa incazzare, dice il pacifista di lungo corso, uno che è stato sotto le bombe a Gaza come a Sarajevo: la pace si costruisce quando c’è, perché poi quando arriva la guerra è tardi, adesso puntano il dito contro di noi che li avevamo avvertiti che sarebbe finita male anche questa volta… Hanno paura i pacifisti di rimanere inascoltati come successe 20 anni fa quando denunciavano la deriva dittatoriale di Putin o come quando chiedevano energie rinnovabili e meno dipendenza da gas e petrolio. Venti anni fa si diceva costassero troppo e venivano trattati da belle anime sognatrici, adesso? Adesso, nonostante avessero tutte le ragioni, i pacifisti sono in un isolamento ancora più grande. Sperano nella marcia Perugia Assisi, nel Papa. Non c’è più politica. Ma non smetteranno, perché “tra uccidere o morire c’è una terza via, vivere”.