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La guerra in Ucraina era già entrata in una nuova fase tra settembre e i primi di ottobre: la contro-offensiva ucraina e la ritirata russa nel sud e nell’est; le annessioni di quattro territori da parte di Mosca; la mobilitazione dei riservisti russi; le minacce di Putin di un possibile attacco nucleare. I raid di ieri sono lo sviluppo diciamo così naturale di tutto questo, e ovviamente anche la diretta conseguenza dell’attacco sul ponte in Crimea dello scorso fine settimana.
L’entità dei bombardamenti – che hanno colpito praticamente tutto il paese – così come le dinamiche all’interno del potere politico e militare a Mosca ci dicono però che la guerra sta entrando velocemente in un’altra fase ancora, caratterizzata probabilmente da una campagna di raid indiscriminati su infrastrutture e obiettivi civili lontani dalla linea del fronte, proprio come successo oggi.
Lo ha detto lo stesso Putin: l’attacco contro il ponte in Crimea non poteva non avere risposta, continueremo a rispondere con determinazione agli attacchi degli ucraini.
La domanda è proprio questa: gli attacchi di ieri sono solo i primi di una lunga serie? I prossimi seguiranno a breve? O arriveranno solo quando i russi saranno ancora più in difficoltà?
Come nei mesi scorsi è impossibile prevedere le mosse di Putin. Ma una serie di elementi ci confermano l’ingresso in una nuova fase del conflitto.
Con i raid di ieri Mosca ha voluto lanciare un messaggio molto chiaro. Il primo agli ucraini – possiamo colpirvi sempre e ovunque – il secondo agli occidentali – basta inviare armi. I bombardamenti sono quindi una mossa che punta a toccare la psicologia e la tenuta emotiva dell’avversario, non tanto a guadagnare terreno.
In sostanza: fermatevi fino a quando siete in tempo.
Con il via libera a un’operazione del genere Putin ha voluto anche placare le critiche interne. Non a caso diverse esponenti dell’ala più radicale del potere politico e militare hanno accolto con favore i raid. Lo ha fatto il ceceno Kadyrov, ma lo hanno fatto anche politici, analisti, giornalisti fino a ieri molto critici con il Cremlino e con il ministero della difesa. Molti di loro hanno anche chiesto che i raid, anche contro obiettivi civili, continuino. Di fronte alle loro dichiarazioni Putin sembra in qualche modo il punto di equilibrio, che cerca di tenere insieme tutto l’establishment russo.
Significato simile dietro la recente nomina del Generale Surovikin – noto per le sue scelte militari che non tengono conto del costo in termini di morti civili – alla guida dell’operazione speciale in Ucraina.
L’importanza del fronte interno per il presidente russo è chiaro anche dalla narrazione veicolata in queste ore dai media di stato. Per mesi hanno parlato di raid solo su obiettivi militari. Oggi hanno raccontano apertamente che in Ucraina sono stati colpiti infrastrutture e quindi obiettivi che civili. Centrali elettriche, rete idrica, vie di comunicazione, ponti. Putin voleva che tutti sapessero.
Intere regioni ucraine sono rimaste senza acqua ed elettricità. Dopo mesi durante i quali la popolazione civile non faceva più nemmeno caso alle sirene che avvertivano del rischio di bombardamenti, gli ucraini sono tornati a frequentare i rifugi, a Kyiv anche le fermate della metropolitana.
La guerra è tornata anche a mille chilometri dalla linea del fronte. E non dimentichiamo che già da alcuni giorni molti ucraini parlavano del rischio di un attacco nucleare. Il senso di tutto questo è che l’obiettivo di Putin – spaventare gli ucraini – è stato raggiunto. La sua strategia del terrore.
Come risponderà l’esercito di Kyiv? Continuerà a spingere lungo la linea del fronte fino all’arrivo dell’inverno? Probabilmente sì. E gli occidentali? Anche loro continueranno a mandare armi? Anche qui la risposta è positiva, ma sicuramente qualcuno inizierà a farsi delle domande sulla necessità di riaprire un canale di dialogo con Mosca.
Sul campo i russi sono in difficoltà. E lo saranno ancora. La loro arma, in questo momento, sono i raid, come quelli di ieri e oggi. Anche se gli ucraini dovessero riprendere altro territorio – altamente probabile – il loro paese rischierà sempre di essere colpito dal cielo.
E a nord il bielorusso Lukashenko ha dato anche il via libera al movimento delle sue truppe insieme a quelle russe. Anche questo va nella direzione di una fase ancora più dura di una guerra tutt’altro che finita.