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- Tratto dal podcast Mondo |
“I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe” di Valentina Pisanty é un libro molto importante in cui l’autrice cerca di raccontarci e spiegarci cosa non funziona nella trasmissione della memoria in questa epoca col ritorno delle destre xenofobe che provano a sfruttare a proprio favore le mosse dei loro avversari.
Ne abbiamo parlato oggi con la stessa Valentina Pisanty. L’intervista di Barbara Sorrentini a Cult.
Questa è la premessa da cui è partito questo lavoro. Sono riflessioni che ho raccolto negli ultimi cinque anni in un periodo in cui notavo sempre più vistosamente questa contraddizione che è il preambolo della mia ricerca: la contraddizione tra l’intensificarsi delle iniziative commemorative in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del Mondo e dall’altra parte la constatazione di un’insorgenza di vecchi e nuovi razzismi che sembrano contraddire la premessa di tutte le politiche attuali della memoria, quell’equazione semplicistica tra il “non dimenticare” e il “mai più”, vale a dire la base di tutte le retoriche attuali della memoria.
Come è possibile che le destre continuino a farsi sentire?
Non solo continuano, ma si fanno sentire molto di più. Sorge il dubbio che le destre xenofobe abbiano imparato ad inserirsi negli ingranaggi di queste politiche retoriche della memoria per sfruttare le mosse dei loro avversari a proprio favore, ad esempio svuotando le forme egemoniche della memoria e dell’Olocausto dei loro contenuti storici specifici per poi insediarsi surrettiziamente nel ruolo di vittime. Sappiamo bene che l’idea di memoria è fondata su una dicotomia tra i ruoli di vittime e carnefici e loro pongono se stessi nel ruolo di vittime, ri-raccontando le proprie vicende e le proprie rivendicazioni negli stessi termini di questa retorica ormai considerata universale.
“I guardiani della memoria” pone dei questi importanti che fanno riflettere chi continua a credere nel dovere della testimonianza e di tramandare la storia. Ma questo non basta. Bisogna andare a colpire chi continua a negare e smentire.
Sì, bisognare pensare che non basta, ma non in senso quantitativo. Si è un po’ perso di vista il carattere strumentale di queste giornate e di queste iniziative. L’idea originaria, e sono convinta che sia stata formulata in perfetta buona fede, è che attraverso il ricordo empatico di eventi raccontati attraverso il punto di vista delle vittime e di chi ha subito le discriminazioni e le persecuzioni si aprisse una sensibilità nuova nei confronti di qualsiasi minoranza perseguitata e che quindi ci si tutelasse di fronte al possibile riproporsi di situazioni analoghe.
Non è andata così, anche perché da un certo punto in avanti per molte di queste iniziative sembrerebbe che l’obiettivo ultimo fosse quello di perpetuare la memoria in sé, come se fosse un bene, indipendentemente dagli scopi per cui è stata pensata questa funzione particolare nella memoria. Il nemico non è più il razzista, lo xenofobo o l’antisemita, ma il nemico è qualcuno che dimentica o qualcuno che nega. Sul negazionismo ci sarebbe molto altro da dire, è evidente che chi nega la Shoah lo fa in funzione di una tradizione antisemita e non c’è dubbio su questo. Però nel momento in cui il bene da tutelare diventa la memoria, e quindi il dovere della memoria diventa qualcosa che si esaurisce nell’atto della commemorazione, a quel punto si perde di vista la seconda parte, che era quella che dava senso all’intera iniziativa.
Ne “I guardiani della memoria” c’è una parte dedicata al nuovo cinema sulla Shoah. Citi diversi film, ma per molti di questi metti in discussione la loro efficacia e la loro fedeltà. Quali ti hanno invece colpito di più?
A me i film sulla Shoah non piacciono. Non mi piacciono perchè penso che difficilmente riescono a essere efficaci dal punto vista il linguaggio cinematografico. Ci sono alcune eccezioni storiche e film che mi sono piaciuti, ma trovo i film usciti negli ultimi anni rivelino una certa stanchezza formulaica, un certo modo di assolvere il dovere della memoria attraverso produzioni cinematografiche molto spesso anche molto sponsorizzate da enti pubblici e con quell’aria di una morale già preconfezionata.