I Golden Globe – i riconoscimenti assegnati annualmente dall’associazione della stampa straniera a Hollywood – danno il via alla stagione dei premi cinematografici, con gli Oscar come obiettivo finale; ma hanno anche la bizzarra consuetudine di celebrare pure il piccolo schermo: sono gli unici a farlo, e in un momento particolare, proprio a metà della stagione televisiva, lasciando talvolta un po’ spiazzati gli addetti ai lavori con le proprie scelte. Nell’edizione 2019, che si è tenuta a Los Angeles la sera del 6 gennaio, il vincitore poco comprensibile è Il metodo Kominsky nella categoria commedia: non tanto perché la serie – che è disponibile su Netflix, è creata dall’autore di The Big Bang Theory e ha come protagonista Michael Douglas, che ha vinto anche come miglior attore – sia terribile, ma perché la concorrenza era davvero a livelli altissimi, con La fantastica signora Maisel in testa (che ha almeno visto trionfare come miglior attrice Rachel Brosnahan, per il secondo anno di fila).
Per il resto, dei Globe (ma di tutti i premi televisivi in generale) colpisce ormai l’impossibilità, con solo cinque nomination a categoria, di mappare un universo seriale ricchissimo di titoli e di complessità: applaudiamo, per esempio, la vittoria di Sandra Oh come miglior attrice drammatica per Killing Eve (la prima di origini asiatiche a ricevere il premio), notando però che la serie con cui vince è molto più vicina alla commedia. Ma vogliamo soprattutto approfittare del premio considerato più importante, quello per miglior serie drammatica, per parlare probabilmente per l’ultima volta di una delle produzioni migliori degli ultimi anni: il Globe è andato a The Americans, e precisamente alla sua ultima stagione, la sesta, che in Italia è stata trasmessa quest’estate su Fox.
Iniziata nel 2013, creata da un ex agente della CIA, ambientata negli anni 80, per sei anni ha raccontato le incredibili vite di Philip ed Elizabeth Jennings, magistralmente interpretati da Matthew Rhys e Keri Russell (che nel frattempo sono diventati una coppia anche nella realtà): vivono il Sogno americano, con una bella casa un buon lavoro due bambini due automobili, ma in realtà sono spie sovietiche, infiltrate su suolo statunitense fin dagli anni 60, impegnati a combattere la Guerra fredda nell’America dell’escalation reaganiana. Attraverso gli strumenti della spy story – quindi momenti d’azione, ma soprattutto di estrema tensione – e con una grande attenzione al dettaglio d’epoca (gli anni 80 sono restituiti in modo preciso e senza alcuna patina di nostalgia), The Americans è riuscita a essere anche un’intelligente e approfondita riflessione sul matrimonio, sulla famiglia, sulle ideologie e sull’identità, su cosa esattamente ci renda quelli che siamo (ciò in cui crediamo? Le nostre azioni? L’apparenza? Le relazioni?); oltre che una fotografia di una fase cruciale della nostra storia, raccontata attraverso un doppio punto di vista, opposto e complementare. Ed è anche una serie che si è presa tutto il suo tempo per crescere ed evolvere, qualcosa che in tempi di binge watching è sempre più rara, mantenendo una costanza qualitativa impressionante, tanto che la sesta e ultima stagione, premiata appunto col Golden Globe, è forse addirittura la migliore.
Ecco, possiamo così cominciare l’anno con un ottimo consiglio di una serie da recuperare: per conoscere personaggi straordinari, per scoprire le potenzialità televisive al suo meglio e anche per regalarci un po’ di “prospettiva storica”, qualcosa di cui abbiamo sempre più bisogno.