I bisogni dei 100 mila bambini che ogni giorno entrano in carcere per incontrare papà o mamma detenuti diventano diritti. Il Protocollo, firmato nel 2014 e ora ratificato dal Ministero della Giustizia, è un documento unico in Europa, che impegna il sistema penitenziario a confrontarsi con la presenza quotidiana del bambino in carcere. Una presenza che nei più piccoli può generare forte disagio. Si tratta allora di rendere questi bambini visibili, in modo da garantire loro tutela e un’attenzione specifica da parte degli agenti penitenziari, che necessitano di una formazione specifica in proposito.
“Sono un gruppo di bambini un po’ speciale, certo, ma è fondamentale che non siano stigmatizzati, che non si sentano diversi dai loro coetanei – dice Lia Sacerdote, presidente dell’associazione Bambinisenzasbarre.
“Questo protocollo è dedicato ai bisogni specifici che i figli dei detenuti hanno quando entrano in carcere: hanno bisogno di spazi ma anche di essere accolti da agenti penitenziari preparati. Prima del Protocollo questi bambini erano invisibili, ora sono visibili, e rispettando i loro diritti si rispettano anche quelli degli adulti – dice Sacerdote.
“L’articolo 1 mette il bambino al centro, una rivoluzione culturale per il mondo carcerario. Ad esempio questo significa che il genitore deve poter uscire di cella nei momenti importanti della vita del suo bambino: deve poter essere presente il primo giorno di scuola, al compleanno, alle cerimonie religiose. Solitamente i ‘permessi per necessità’ vengono dati per i lutti: la patrola ‘necessità’ deve dunque cambiare significato.
“Dentro il carecere i bambini devono avere la possibilità di muoversi, o di portare con sè degli oggetti personali come per esempio un gioco o un disegno. Il bambino che entra in carcere viene sottoposto a un ‘controllo’ (non si chiama ‘perquisizione’) ma per lui è complicato capire perchè deve abbandonare i suoi oggetti. Nel percorso che i piccoli fanno dall’ingresso a quando incontrano il genitore l’attenzione degli adulti è fondamentale: quando siamo in presenza di bambini il nostro atteggimento cambia. In questo senso diciamo che devono diventare ‘visibili’ – spiega Lia Sacerdote di Bambinisenzasbarre.
“Nessuno lo sa, ma alle 8 del mattino fuori dalle carceri c’è una coda di bambini che devono incontrare i loro genitori. Il carcere non è un luogo chiuso, appartiene a tutti noi. Per questo tutti abbiamo una responsabilità sociale nei confronti di questi bambini” – conclude Sacerdote.
Ascolta l’intervista integrale di Lorenza Ghidini a Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre