Questo non è un sogno, né un appello, tantomeno un programma politico per rimettersi in piedi dopo qualche decennio di sconfitte che cominciano a bruciare per davvero. Ma alzi la mano chi, di sinistra o sedicente tale, oggi, centocinquant’anni e molte mediazioni dopo, non sente una stretta alla bocca dello stomaco davanti a un’idea di mondo così radicale, coerente, tempestiva e realizzata, se pure solo per 72 giorni irripetibili. Cominciamo dalla scuola. La Comune ne stabilisce l’immediata separazione dalla Chiesa: l’istruzione diventa obbligatoria, gratuita e impostata su basi scientifiche. Nessun oggetto di culto è ammesso negli edifici scolastici, e se gli avessimo dato retta ci saremmo risparmiati decenni di caciara sui crocifissi nelle aule. Se la scuola è importante, lo diventano anche gli insegnanti: gli stipendi dei maestri vengono raddoppiati e quelli delle maestre parificati a quelli degli uomini. Non ci vuole molto, in fondo, soprattutto se si parte da 1200 euro al mese, come oggi.
Il materiale scolastico, per mettere tutti sulla stessa linea di partenza
davvero, è fornito dallo stato. Se i comunardi sapessero che ancora oggi un ragazzo sceglie il liceo in base al costo dei libri di testo… Nascono perfino i primi asili, e su questo punto, sul presente, non c’è davvero bisogno di infierire. In campo economico uno dei primi provvedimenti è la sospensione della vendita degli oggetti affidati dai poveri al Monte di pietà e la restituzione di indumenti, biancheria, mobili, libri e utensili da lavoro che non avessero un valore superiore a 20 franchi. Visto dalla bolla dei compro oro, fa una certa invidia. Gli sfratti sono bloccati. Gli stipendi delle cariche pubbliche sono parificati a quelli di un operaio specializzato, mentre noi stiamo qui a spaccare il capello sul diritto al vitalizio. Alle famiglie dei caduti durante gli scontri viene garantita una pensione: a tutte le famiglie, formali e informali, a tutte le vedove, sposate o meno, a tutti i figli, legittimi e naturali.
Le case di tolleranza vengono chiuse (e immediatamente riaperte dopo la fine della comune). Il lavoro. Per gli operai di fabbriche abbandonate in seguito ai tumulti si sancisce la possibilità di assumerne la proprietà e la gestione, anzi l’autogestione, come si direbbe (e non si farebbe) oggi. Il lavoro notturno viene vietato, con grande scorno dei ricchi proprietari dei forni, e si propone, senza arrivare ad imporla, la giornata lavorativa di otto ore: una conquista che in Italia, per dire, avrebbe avuto bisogno di un altro mezzo secolo buono per essere anche solo enunciata. Insomma, a scorrere i decreti e le decisioni assunte in tutti questi campi dal governo della Comune viene davvero da pensare che hanno fatto di più in quei due mesi i parigini tra una
barricata e l’altra che tutti noi nei 150 anni che sono seguiti. Ma la storia non è finita, e la Comune di Parigi, nel momento stesso in cui viene soffocata nel sangue (per inciso da un governo di centrosinistra), consegna tutte le sue conquiste e le installa per sempre, a beneficio nostro e soprattutto di quelli che verranno dopo di noi, nel dominio del possibile. Un sogno? Forse, ma per realizzarlo bisogna svegliarsi.
Foto |La costruzione della Basilica del Sacro Cuore, sollecitata anche dall’arcivescovo di Parigi, Joseph Hippolyte Guibert, fu decretata da una votazione dell’Assemblea nazionale il 23 luglio 1873 dopo la sconfitta del 1871 per espiare i crimini dei Comunardi