Il racconto della giornata di giovedì 16 settembre 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Per lavorare servirà il Green Pass. Il Consiglio dei Ministri si è espresso all’unanimità, così dal 15 ottobre dovranno averlo tutti dipendenti pubblici, privati e i volontari. I sindacati sono soddisfatti del no ai licenziamenti per i dipendenti sprovvisti di Green Pass, ma restano inascoltati sui tamponi gratuiti. Gli zii paterni, tutori legali di Eitan Biran, partiranno per Israele. Intanto, in vista dell’udienza, crescono i dubbi sulla figura del Nonno. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.
Il Green Pass obbligatorio per tutto il mondo del lavoro
Il green pass sarà obbligatorio “per tutto il mondo del lavoro, sia pubblico, sia privato”, come ha detto il ministro Roberto Speranza in conferenza stampa. Varrà anche per gli autonomi, le partite iva e collaboratori familiari. Si tratta di una platea di circa 23 milioni di persone, tra cui sono compresi anche i volontari che operano nelle associazioni. Il testo è stato firmato, a breve sarà pubblicato in gazzetta ma non entrerà in vigore da subito. L’obbligo scatterà dal 15 ottobre, per dare la possibilità a chi non è in regola di adeguarsi. Durerà fino al 31 dicembre, la data attuale di scadenza dello stato di emergenza.
Il lavoratore sprovvisto di green pass non potrà essere licenziato, ma dopo 5 giorni di fila senza certificato potrà essere sospeso dal lavoro e dallo stipendio. Per le imprese con più di 15 dipendenti, questo potrà accadere dal primo giorno senza pass. Sono previste anche delle sanzioni per chi trasgredisce. Chi non mostra il pass o chi non ne verifica il possesso – in questo caso il datore di lavoro – rischia una multa da 600 a 1500 euro.
Per ottenere il green pass non serve esclusivamente il vaccino, ma basta anche aver fatto un tampone con esito negativo. Sui costi, si è deciso di fissare un prezzo calmierato. I test in farmacia costeranno 15 euro per i maggiorenni, 8 euro per i minorenni e saranno gratuiti per le persone che non possono fare il vaccino per motivi di salute. Per quanto riguarda invece i tempi, cioè la validità dei test, oggi al Senato è stato approvato un emendamento che ne stabilisce l’estensione a 72 ore.
L’ultimo incontro tra governo e sindacati
L’ultimo incontro tra governo e sindacati sull’estensione del green pass risale a ieri pomeriggio. I sindacati confederali, oltre ad avere ribadito di preferire l’obbligo generalizzato rispetto al passaporto sanitario, avevano chiesto al governo di garantire che nessun lavoratore sarà licenziato per il mancato possesso del green pass e di prevedere tamponi gratuti per tutti. Se la prima richiesta, sulla carta è stata accolta, non è infatti previsto il licenziamento tra le sanzioni, sulla seconda i governo ha preferito andare avanti, come ampiamente annunciato alla vigilia, sulla strada dei prezzi calmierati. Come escono i sindacati da questa trattativa, abbiamo chiesto due opinioni.
La prima, è quella dell’ex sindacalista e parlamentare Antonio Boccuzzi, che valuta positivamente i risultati raggiunti.
La seconda è invece del giuslavorista e presidente del forum diritti del lavoro Carlo Guglielmi, secondo cui il sindacato ne esce sconfitto
Il Parlamento potrà decidere in autonomia se applicare l’obbligo a se stesso
(di Luigi Ambrosio)
Da un lato, il principio secondo cui i politici sono uguali a tutti i cittadini e non sono una casta. E quindi, se il Green pass è obbligatorio nei luoghi di lavoro, è giusto che sia obbligatorio anche nelle aule parlamentari e in tutte le assemblee elettive, dalla Camera e dal Senato giù giù fino ai consigli di zona passando per i consigli regionali, oltre che dalle giunte e dai vertici delle Istituzioni.
Dall’altro, il principio secondo cui l’attività di rappresentanza politica è un pilastro fondamentale della democrazia, garantita dalla Costituzione. Un eletto non vaccinato in teoria potrebbe non essere in grado di esercitare le sue funzioni, se non si sottoponesse a tampone.
Il Parlamento potrà decidere in autonomia, con un voto, se applicare a se stesso il Green pass, gli altri luoghi della rappresentanza no.
E i politici si dividono.
Così si va dal segretario del Pd Letta che plaude, al Senatore di Italexit Paragone che promette di sfondare le porte se lo lasciano fuori.
Dai sostenitori del Green pass che dicono sì, agli ex grillini di Alternativa c’è che dicono no e danno dei traditori a quelli del Movimento 5 Stelle.
Fino alle crepe che si aprono nella Lega. Salvini è per il sì, il suo ex ministro Claudio Borghi dice che si rivolgerà alla Corte Costituzionale.
Posizioni a volte figlie di un calcolo. Qualcuno potrebbe approfittarne, per un Aventino buono per la campagna elettorale. Certo sarebbe paradossale, l’Aventino, se a farlo fossero ad esempio quelli di Fratelli d’Italia
A Voghera il clima è teso da 20 anni
(di Luca Parena)
Era l’aprile di ventidue anni fa a Voghera e un comitato di consiglieri comunali di centrodestra promuoveva un referendum comunale. Il quesito domandava: “Siete a favore di un centro di prima accoglienza per extracomunitari? Siete favorevoli alla costruzione di un’area attrezzata per nomadi?”. No, risultato: contrari più del 70percento dei votanti. In ballo c’erano la ricerca di un posto per 30 nomadi sinti, da anni accampati nell’ex caserma militare e progetti di contrasto all’emarginazione. Anche per i vogheresi, non solo per gli immigrati. Non se ne fece più nulla.
In quel referendum si trovano i primi evidenti segnali di una cultura che con il tempo ha finito per radicarsi e radicalizzarsi. Da allora si sono avvicendate cinque amministrazioni di centrodestra: più polizia locale, più telecamere, divieti per i senzatetto di sedersi sulle panchine, daspo urbani per chi chiede l’elemosina. I proiettili invocati a parole dall’assessore Gabba per i migranti che si assembravano in piazza San Bovo, quello esploso dal suo collega Adriatici contro Youns El Boussetaoui sono il punto di non ritorno.
Un’esasperazione senza fine, fomentata e addirittura praticata da rappresentanti eletti. A Voghera c’è chi crede in altri valori, lo dimostrano i cittadini delle associazioni sul territorio che operano per la solidarietà. Il problema è che sembrano in minoranza. E non da ieri, ma da vent’anni a questa parte.
Il passato di Shmuel Peleg, il nonno di Eitan Biran
(di Martina Stefanoni)
Il rapimento di Eitan Biran da parte del nonno materno Shmuel Peleg, non è stato un fulmine a ciel sereno. Tutt’altro. L’idea che un evento del genere potesse verificarsi, prima o poi, non solo aveva già sfiorato la mente della zia Aya Biran – e tutrice legale del bambino – ma aveva anche fatto sì che la procura di Pavia allertasse questura e prefettura su questa possibilità ed era stato diramato in tutti i paesi dell’area Shengen e in Svizzera uno specifico divieto di espatrio per Eitan. Divieto che era in vigore anche sabato scorso, quando Peleg ha invece oltrepassato in tutta tranquillità la frontiera con la svizzera e si imbarcasse su un volo per Tel Aviv insieme ad un minore, Eitan appunto, di cui non era il tutore. Questa è un’altra questione. Possibile che nessuno abbia controllato che il nonno non era autorizzato a lasciare il paese con Eitan? In un intervista sul Jerusalem Post, Peleg ha detto di aver agito d’impulso per il bene del bambino. Ma tutto considerato, sembra difficile credere che la cosa non sia stata premeditata. L’aereo utilizzato da Peleg per portare Eitan a Tel Aviv, era un volo privato, organizzato per lui, del costo di – circa- 2300 euro all’ora. Rimane posi sullo sfondo il presunto passato – o presente? – del nonno. Il 58enne, che durante buona parte in cui è rimasto in Italia, avrebbe alloggiato in un albergo nei pressi della stazione centrale di Milano che sarebbe noto per essere frequentato da personaggi legati ai servizi segreti, è un ex militare dell’esercito israeliano e – secondo alcuni – con buone relazioni all’interno del Mossad.
La battaglia di sei ragazzi berlinesi contro il cambiamento climatico
(di Martina Stefanoni)
La crisi climatica uccide. L’hanno scritto con vernice rossa su un lenzuolo appeso tra le tende montate nello spazio verde tra il Reichastag e la cancelleria tedesca, a Berlino. L’hanno scritto 6 ragazzi, il più giovane ha 18 anni, il più grande 27. Sono sei attivisti ambientalisti che alla fine di agosto hanno smesso di mangiare. Parlano piano, attenti a non bruciare energie inutilmente, ma non mollano. “Lo sciopero della fame va avanti a tempo indeterminato”, diceva Jacob Heinze, il più grande dei sei, quando gli si chiedeva cosa avevano intenzione di fare. Pochi giorni fa Jacob è stato ricoverato in ospedale, dopo essere collassato dopo 16 giorni senza mangiare. Lo sciopero, però, continua, fino a che i 3 canditati in corsa alle elezioni (che si terranno tra poco più di una settimana) per sostituire Angela Merkel, non accetteranno di incontrarli. Per ora, tutti e tre si sono rifiutati. Non è questo il modo di protestare, dicono. “é pericoloso, lo sappiamo”, dicono i ragazzi, “ma la crisi climatica lo è di più”. Se per la politica dei “grandi” le modalità di questi ragazzi sono troppo radicali, per i ragazzi i programmi politici lo sono troppo poco.
Il conservatore Armin Laschet, il social democratico Olaf Scholz e la verde Annalena Baerbock. Tutti e tre i candidati, parlano di ambiente e clima nelle loro campagne, ma
per gli attivisti non è sufficiente. e il mondo a cui si va incontro è spaventoso, più della fame. La Germania ha già sperimentato una assaggio della potenza distruttrice che il cambiamento climatico esercita ed eserciterà sul pianeta. Le forti piogge di quest’estate nella Vestfalia hanno provocato più di 100 morti.
E’ da tempo, ormai, che la battaglia contro il cambiamento climatico è in mano ai giovani. Movimenti come Fridays for Future o Extinction Rebellion hanno riempito le piazze per mesi, prima di essere bloccati dal covid, e continueranno a farlo. Ora, questi sei ragazzi tedeschi vanno oltre. Non basta più. Bisogna attirare l’attenzione in altro modo. “Non è cambiato nulla, I governi non fanno abbastanza per proteggerci”, dicono. In fondo, chi ci sarà, chi testimonierà gli effetti più devastanti del riscaldamento globale, saranno loro, i giovani. E i grandi, che siedono sulle poltrone del potere, non fanno altro che temporeggiare.
L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia
Oggi ci sono stati circa 5.100 nuovi casi, l’1,6 per cento dei tamponi. 67 le morti accertate.
Il quadro epidemiologico è in miglioramento. Lo certifica anche il monitoraggio della fondazione sanitaria Gimbe. Anche questa settimana il trend di contagi e decessi è in calo. E per la prima volta da 8 settimane diminuisce il numero dei pazienti ricoverati.
Renata Gili, responsabile ricerca della Fondazione Gimbe.