E’ la più grande baraccopoli di Francia, forse d’Europa, di certo una delle più note. Fra i novemila e i diecimila migranti assiepati in tende e baracche di fortuna alle porte di Calais, porto francese sulla Manica e principale passaggio verso la Gran Bretagna.
Passaggio ormai blindato e, di fatto, quasi impenetrabile, ma i siriani, eritrei, sudanesi, afghani, iracheni o libici che sperano di arrivare nel Regno Unito continuano a venire ad arenarsi sulla sponda francese della Manica.
E in mancanza di meglio, o in mancanza di tutto, si sono riparati come potevano in una regione di tradizione operaia, devastata da trent’anni di crisi a ripetizione, in cui il Front National di Marine Le Pen è il primo partito.
Non è un caso che nelle ultime settimane tutti i candidati alle elezioni presidenziali del 2017 – di destra e di sinistra – siano passati da Calais per denunciare l’indegnità della baraccopoli e compatire il malessere e la protesta degli abitanti della provincia e per promettere una soluzione rapida e definitiva in caso di vittoria.
Allora anche – anche per disarmare i rivali – Hollande, presidente in carica e sempre più candidato, non ancora dichiarato, alla propria rielezione è andato anche lui a Calais e ha annunciato “lo smantellamento completo” della baraccopoli entro la fine dell’anno e la ripartizione nei centri di accoglienza di tutto il Paese dei migranti che la occupano.