E’ stato il discorso dell’addio di Barack Obama. Quello in cui “ha passato il bastone” a Hillary Clinton. Ma anche quello in cui ha rivendicato, puntigliosamente, i risultati della sua presidenza, rilanciando ancora, otto anni dopo la salita alla Casa Bianca, un messaggio di speranza e di ottimismo. “Yes We Can”, il vecchio slogan, è tornato a risuonare nell’arena dei democratici.
Il discorso di Obama, a conclusione della terza giornata della Convention democratica a Philadelphia – che peraltro ha ospitato anche gli interventi di Tim Kaine, il candidato vice presidente, Joe Biden, e Michael Bloomberg, venuto a mettere in guardia gli indipendenti dal votare Trump – è stato anzitutto un momento di sostegno forte per Hillary Clinton. Obama ha ricordato di aver sperimentato il suo coraggio, la tenacia, la competenza: “Non c’è mai stato un uomo o una donna, non io, né Bill, nessuno più qualificato di Hillary Clinton a servire come presidente degli Stati Uniti d’America”. Obama ha ricordato che, da segretario di stato, Hillary Clinton era presente nella Situation Room quando fu decisa la missione che avrebbe portato all’uccisione di Osama bin Laden. Ha concluso: “Non importa quanto la gente cerchi di metterla K.O. Lei non molla. Mai”.
Dopo l’appoggio a Clinton, è venuta la “distruzione” dello sfidante repubblicano. Obama ha spiegato che queste non sono elezioni normali, perché dall’altra parte dello spettro politico non c’è un semplice repubblicano. Questa volta c’è qualcuno, e qualcosa, di diverso. “Trump non è sicuramente un tipo semplice – ha spiegato Obama -. Ha scommesso sul fatto che se terrorizza le persone, potrebbe ottenere voti sufficienti per vincere”. Poi è venuto l’attacco più duro. Gli americani devono guardarsi da “demagoghi cresciuti in casa”, che promettono di “restaurare l’ordine”. Anche questo, un riferimento esplicito proprio a Trump, che in occasione della Convention repubblicana di Cleveland ha detto di voler “restaurare l’ordine e la sicurezza perduti”.
Tutto il messaggio di Obama alla Convention, e ai democratici, è stato comunque segnato da una rivendicazione di quello che l’America è diventata in questi otto anni. “Siamo già un grande Paese… Non abbandonate mai l’audacia della speranza”, ha spiegato Obama, che ha parlato di un’America che in questi anni è cresciuta, ha creato lavoro, ritirato gran parte delle proprie truppe dal mondo, stretto una serie di importanti trattati diplomatici, garantito il matrimonio egualitario, creato condizioni più favorevoli ai consumatori, reso più stringenti le regole a salvaguardia dell’ambiente.
La parte finale del discorso, prima che sul palco entrasse Hillary Clinton per il saluto finale alla folla, è stata invece occupata da un messaggio intensamente personale. “Voi mi avete tenuto su nei momenti difficili, e io spero di avervi ogni tanto aiutato e tenuto su”, ha detto Obama (e qui gli occhi gli si sono visibilmente inumiditi). Poi il presidente ha ricordato l’America in cui crede (e che secondo l’ala più progressista dei democratici, non sempre in questi anni è riuscito a rappresentare). Quella dei suoi antenati e dei suoi nonni materni, gente del Kansas, che credeva “nei valori dell’umiltà, della gentilezza, del lavoro” e che hanno passato questi valori a un nipote mezzo keniota: “Sapevano che questi valori sono esattamente quelli che hanno portato milioni di immigrati qui, e credevano che i figli di quegli immigrati sarebbero stati americani proprio come loro, sia che indossassero un cappello da cowboy o una kippah, un cappellino da baseball o il velo”.