Dopo l’attacco di Hamas che, nella prima mattina del 7 ottobre 2023, ha eseguito una vera e propria mini-invasione delle regioni israeliane confinanti con la Striscia di Gaza, la reazione di Israele è arrivata subito.
Netanyahu ha dichiarato che Hamas pagherà un prezzo che non ha mai dovuto pagare. Ma nel preparare questa operazione militare Hamas aveva preventivato la risposta di Israele.
E qui bisogna fare una piccola premessa: negli ultimi anni i razzi da Gaza non sono mai stati lanciati dai militanti di Hamas, ma da quelli della Jihad. Questo significa che un’operazione militare senza precedenti come quella di stamattina non può essere definita l’ennesimo episodio della crisi tra Israele e il movimento islamista.
Qui siamo ben oltre. Non conosciamo le intenzioni di Hamas ma l’audio mandato alle emittenti televisive arabe dal capo militare dell’organizzazione, che per la prima volta si espone pubblicamente, è un documento politico costellato di rivendicazioni precise: parla della situazione umanitaria di Gaza, dell’espansione delle colonie e dello statuto della spianata delle moschee a Gerusalemme.
Inoltre l’attacco farà uscire dall’angolo Hamas: i giovani della Cisgiordania non credono più nei loro discorsi, sono più attratti da nuovi gruppi militari, come la Fossa dei Leoni di Jenin, i quali non si riconoscono più nei vecchi movimenti della resistenza palestinese come Fatah, Hamas, Jihad, FPLP, eccetera.
Ieri ricordando il 50esimo anniversario della guerra dello Yom Kippur è uscito fuori che quel conflitto scatenato dal presidente egiziano Anwar Sadat aveva un unico scopo: aprire trattative di pace con Israele per riparare al disastro della Guerra dei Sei Giorni del 1967, e infatti in seguito si arrivò agli accordi di Camp David.
Spesso la storia non si ripete come vogliono i suoi protagonisti, ma oggi come allora soltanto un’iniziativa politico-diplomatica importante da parte degli Stati Uniti potrebbe fare uscire la regione dall’impasse.