
L’uscita sull’Ucraina che Donald Trump fece in campagna elettorale lo scorso anno è un ottimo punto di partenza per descrivere lo stato dei colloqui per mettere fine alla guerra.
Il presidente americano – ricorderete – disse che avrebbe fermato il conflitto in 24, al massimo 48 ore dal suo arrivo alla Casa Bianca.
Ovviamente non è successo, ma è comunque evidente come Trump abbia ancora una certa fretta di arrivare a un qualche tipo di accordo. Si è giocato una parte della sua credibilità e oltretutto pare essere attratto dalla possibilità di un ritorno economico e commerciale per gli Stati Uniti, nei rapporti con gli ucraini ma soprattutto con i russi.
Ma adesso il presidente americano si sta scontrando con la realtà dei fatti.
I colloqui sono partiti. Russi e ucraini, seppur indirettamente attraverso gli emissari dell’amministrazione americana, si stanno parlando. Ma i risultati ancora non si vedono. La Casa Bianca ha forzato Zelensky alla trattativa – ricordiamo sempre il burrascoso incontro con Trump e Vance alla Casa Bianca – ma non ha fatto lo stesso con Putin. Non ha voluto o non ha potuto. Ancora non lo sappiamo.
Sta di fatto che da Washington arrivano sempre parole di apprezzamento nei confronti del Cremlino. Le ultime sono del super inviato di Trump, Steve Witkoff, che recentemente è stato anche a Mosca: Putin è affidabile, sono convinto che voglia la pace, mi piace anche come persona.Il negoziato, che ufficialmente sta passando dall’Arabia Saudita, è piuttosto complesso. Lo dimostra il fatto che non sia nemmeno chiaro di cosa si stia discutendo. Se un’intesa di minima per una tregua parziale oppure un accordo politico di lungo periodo e quindi un armistizio. Le parti coinvolte stanno facendo spesso dichiarazioni non in linea tra loro. Non sul posizionamento politico, ma sull’oggetto della trattativa.
Alcuni funzionari vicini a Trump hanno citato un primo orizzonte temporale per un’intesa, la Pasqua, tra meno di un mese il 20 aprile. Ma ammettono, come fanno anche i russi, che ci sia ancora molto lavoro da fare.
In sostanza Trump si sta scontrando con la questione tempo. Era stato lui, lo abbiamo appena ricordato, a parlare di una fine immediata della guerra. Ma ora si sta rendendo conto come alle attuali consdizioni sia impossibile. Soprattutto per un motivo: la Russia non ha fretta o forse non ha nemmeno intenzione di fermare la guerra. In effetti in queste settimane nonostante le telefonate e gli incontri non ha mai fatto alcun passo indietro. Le condizioni del Cremlino per fermarsi sono sempre le stesse, quelle degli anni scorsi, che sostanzialmente si traducono nella capitolazione ucraina.Ma Putin ha anche e soprattutto un secondo obiettivo: riallacciare il più possibile le relazioni con gli Stati Uniti. Cosa che attrae parecchio anche Trump. Il Cremlino potrebbe quindi aver deciso di parlare di Ucraina per tenere aperti i canali di comunicazione con Washington, ma senza fare alcuna concessione. Sembra confermarlo il fatto che l’unica cosa concreta di cui probabilmente si sta discutendo in queste ore a Riad, in Arabia Saudita, sia una tregua sul Mar Nero. Mosca è tornata anche a citare il famoso accordo sul grano in vigore per un anno tra il 2022 e il 2023, che aveva permesso il passaggio delle esportazioni agricole ucraine e russe.
Tutto molto lontano dalla prima proposta americana: una tregua generale di 30 giorni. Per aggiungere confusione il Cremlino ha detto oggi che dal suo punto di vista la tregua sulle infrastrutture energetiche sia ancora in vigore. Mentre gli ucraini continuano a chiedere un documento ufficiale, qualcosa sul quale le parti possano mettere ufficialmente la loro firma. Oggi pomeriggio un bombardamento russo sulla città di Sumy avrebbe fatto più di 70 feriti.
Rimane la domanda se e quando Trump punterà i piedi e chiederà a Putin di non prendere tempo e di parlare sul serio della fine della guerra. Ed eventualmente cosa farà se la risposta del Cremlino, come succede oggi, fosse negativa.
Il presidente americano – ricorderete – disse che avrebbe fermato il conflitto in 24, al massimo 48 ore dal suo arrivo alla Casa Bianca.
Ovviamente non è successo, ma è comunque evidente come Trump abbia ancora una certa fretta di arrivare a un qualche tipo di accordo. Si è giocato una parte della sua credibilità e oltretutto pare essere attratto dalla possibilità di un ritorno economico e commerciale per gli Stati Uniti, nei rapporti con gli ucraini ma soprattutto con i russi.
Ma adesso il presidente americano si sta scontrando con la realtà dei fatti.
I colloqui sono partiti. Russi e ucraini, seppur indirettamente attraverso gli emissari dell’amministrazione americana, si stanno parlando. Ma i risultati ancora non si vedono. La Casa Bianca ha forzato Zelensky alla trattativa – ricordiamo sempre il burrascoso incontro con Trump e Vance alla Casa Bianca – ma non ha fatto lo stesso con Putin. Non ha voluto o non ha potuto. Ancora non lo sappiamo.
Sta di fatto che da Washington arrivano sempre parole di apprezzamento nei confronti del Cremlino. Le ultime sono del super inviato di Trump, Steve Witkoff, che recentemente è stato anche a Mosca: Putin è affidabile, sono convinto che voglia la pace, mi piace anche come persona.Il negoziato, che ufficialmente sta passando dall’Arabia Saudita, è piuttosto complesso. Lo dimostra il fatto che non sia nemmeno chiaro di cosa si stia discutendo. Se un’intesa di minima per una tregua parziale oppure un accordo politico di lungo periodo e quindi un armistizio. Le parti coinvolte stanno facendo spesso dichiarazioni non in linea tra loro. Non sul posizionamento politico, ma sull’oggetto della trattativa.
Alcuni funzionari vicini a Trump hanno citato un primo orizzonte temporale per un’intesa, la Pasqua, tra meno di un mese il 20 aprile. Ma ammettono, come fanno anche i russi, che ci sia ancora molto lavoro da fare.
In sostanza Trump si sta scontrando con la questione tempo. Era stato lui, lo abbiamo appena ricordato, a parlare di una fine immediata della guerra. Ma ora si sta rendendo conto come alle attuali consdizioni sia impossibile. Soprattutto per un motivo: la Russia non ha fretta o forse non ha nemmeno intenzione di fermare la guerra. In effetti in queste settimane nonostante le telefonate e gli incontri non ha mai fatto alcun passo indietro. Le condizioni del Cremlino per fermarsi sono sempre le stesse, quelle degli anni scorsi, che sostanzialmente si traducono nella capitolazione ucraina.Ma Putin ha anche e soprattutto un secondo obiettivo: riallacciare il più possibile le relazioni con gli Stati Uniti. Cosa che attrae parecchio anche Trump. Il Cremlino potrebbe quindi aver deciso di parlare di Ucraina per tenere aperti i canali di comunicazione con Washington, ma senza fare alcuna concessione. Sembra confermarlo il fatto che l’unica cosa concreta di cui probabilmente si sta discutendo in queste ore a Riad, in Arabia Saudita, sia una tregua sul Mar Nero. Mosca è tornata anche a citare il famoso accordo sul grano in vigore per un anno tra il 2022 e il 2023, che aveva permesso il passaggio delle esportazioni agricole ucraine e russe.
Tutto molto lontano dalla prima proposta americana: una tregua generale di 30 giorni. Per aggiungere confusione il Cremlino ha detto oggi che dal suo punto di vista la tregua sulle infrastrutture energetiche sia ancora in vigore. Mentre gli ucraini continuano a chiedere un documento ufficiale, qualcosa sul quale le parti possano mettere ufficialmente la loro firma. Oggi pomeriggio un bombardamento russo sulla città di Sumy avrebbe fatto più di 70 feriti.
Rimane la domanda se e quando Trump punterà i piedi e chiederà a Putin di non prendere tempo e di parlare sul serio della fine della guerra. Ed eventualmente cosa farà se la risposta del Cremlino, come succede oggi, fosse negativa.