Come abbiamo raccontato già la scorsa primavera, la pandemia da COVID-19 ha, inevitabilmente, avuto un impatto notevole sulla produzione televisiva. Con i set chiusi e cast & troupe in lockdown, molte serie tv – soprattutto quelle classiche, da tv generalista, per le quali i tempi tra riprese e messa in onda sono strettissimi – hanno visto le proprie stagioni scorciate di diversi episodi, con una produzione interrotta e rimandata all’autunno. Tra queste c’era anche Grey’s Anatomy, ormai una delle serie più longeve della tv americana.
Creato da Shonda Rhimes, il medical drama ambientato a Seattle è giunto alla sua diciassettesima stagione: era iniziato nel 2005, in un’epoca televisiva che ci sembra ormai lontanissima, in cui erano proprio le serie da prima serata generalista a sperimentare con formati, trame e linguaggi, e sebbene fosse già, nei fatti, una soap opera ospedaliera, grazie alla scrittura intelligente e profondamente emozionante della sua autrice faceva parte a tutti gli effetti della stessa celebrata golden age televisiva di Lost, 24 e Desperate Housewives.
Stagione dopo stagione Grey’s Anatomy ha rivoluzionato tutto il suo cast – praticamente l’unico punto fermo è rimasta la protagonista Meredith Grey, interpretata da Ellen Pompeo – e ha allineato amori, tradimenti, casi medici impossibili, morti traumatiche e, di tanto in tanto, quelli che i fan hanno ribattezzato “episodi-catastrofe”, e che negli Usa continuano a essere veri e propri eventi tv.
Nei primi mesi dell’emergenza sanitaria, Grey’s Anatomy, e con lei diversi altri medical drama come The Resident e The Good Doctor, si sono resi protagonisti di una piccola ma commovente vicenda: hanno donato agli ospedali in difficoltà tutto il materiale medico in loro possesso, quindi mascherine, camici, guanti, vari dispositivi di protezione, che per ragioni di realismo sono in effetti gli stessi usati davvero negli ospedali. Quando, dopo qualche mese e con molte cautele, la produzione televisiva si è rimessa in moto, Grey’s Anatomy, come tante altre serie, si è trovata di fronte al dilemma: come trattare, sullo schermo, la pandemia? Fare finta di nulla, proseguire come se niente fosse, gettarsi nel totale escapismo per distrarre il pubblico, oppure prenderla di petto e farne argomento di narrazione?
Grey’s Anatomy, abituata com’è a trarre ispirazione da notizie vere per le sue puntate, non si è tirata indietro, e la diciassettesima stagione – cominciata in Usa qualche giorno fa, da noi in partenza il 24 novembre su Fox Italia – è ambientata un mese dopo l’inizio della diffusione dell’epidemia, nel pieno dell’emergenza. E dunque con i personaggi – non solo quelli di Grey’s Anatomy, ma anche i vigili del fuoco di Station 19, serie spinoff con cui c’è stato subito un crossover – che indossano mascherine e dispositivi di protezione, cercando di bilanciare, nella messa in scena, la necessità di realismo e il fatto che, per forza di cose, è necessario far vedere gli attori in faccia, almeno ogni tanto.
Grey’s Anatomy non è sola: anche altre serie, per esempio l’ancor più longeva Law & Order: Special Victims Unit o la strappalacrime This Is Us, hanno scelto di restare vicini agli spettatori anche in questo, continuando a riflettere la realtà sul piccolo schermo nonostante le difficoltà pratiche. È un territorio nuovo, ancora in mutazione, e che sicuramente cambierà seguendo l’evolversi dell’attualità. È ancora questa una delle forze maggiori della serialità vecchio stampo: la rapidità con cui sa stare attaccata al momento, la capacità di adattarsi per registrare e commentare la contemporaneità.
Foto dalla pagina Facebook di Grey’s Anatomy