I greci adorano cenare socializzando. Ovvero socializzare cenando. In compagnia di un buon vino. E’ questa semplice constatazione che ha spinto Agyro Bartata, 39enne attivista greca, a fondare FEAST, una piattaforma offline che combina cibo, solidarietà e creatività. La piattaforma organizza cene dove la gente – invece di pagare un biglietto d’ingresso – fa una donazione di 10 euro e assiste alla presentazione di alcuni progetti sociali in cerca di fondi. E’ una specie di concorso: i commensali votano il progetto che preferiscono e quel progetto riceve tutti soldi raccolti durante la cena. Il cibo e il vino vengono forniti da alcuni sponsor.
Che tipo di progetti avete finanziato finora?
“Sono progetti ideati dalla società civile. Per esempio: due biblioteche mobili parcheggiate davanti a un ospedale e nel porto di Salonicco; un’associazione per adottare animali in modo responsabile; una startup per organizzare le donazioni di sangue; una compagnia teatrale a cui servivano fondi per comprare i costumi. Insomma: ogni tipo di progetti. In genere non riusciamo a finanziare un progetto interamente, ma almeno una parte sì: aiutiamo i progetti a fare il passo successivo e ad andare avanti”.
Chi cucina?
“Il cibo arriva da sponsor, in genere ristoranti locali. Adesso abbiamo un partner molto interessante: una catena di ristoranti chiamata Ergon. Possiede locali in tutta la Grecia e anche all’estero e serve cibo greco di buona qualità, che arriva da piccoli produttori. Siamo molto contenti di questa collaborazione”.
Come invitate le persone?
“Soprattutto attraverso i social media. Abbiamo circa tremila persone che ci seguono a Salonicco e 1.500 sostenitori ad Atene. Abbiamo avuto anche molto spazio e attenzione da parte di giornali, radio e tv locali. Invitiamo anche artisti e persone creative a fare domanda per presentare i loro progetti alle cene. I nostri eventi attraggono perché sono delle feste. Un sacco di persone che vengono alla prima cena non vedono l’ora di sapere quando ci sarà quella successiva”.
Eppure in Grecia la crisi è ancora forte: la gente non ha molti soldi da spendere…
“Il nostro progetto nasce proprio dalla crisi economica. In Grecia non ci sono fondi per i progetti culturali e dunque molti artisti indipendenti cercano aiuto. Noi diamo il potere alle persone di far sì che la creatività non venga affossata dalla mancanza di fondi. La Grecia ha dimostrato di avere molta resilienza: siamo ormai all’ottavo anno di crisi. Stiamo cercando di trovare strade alternative e riorganizzare la nostra società con altre ricette. Io credo che il valore di Feast sia questa voglia di cercare risorse nuove e appoggiare l’arte e la creatività in modo nuovo”.
Il vostro progetto è replicabile in altri Paesi?
“Io penso che il progetto possa essere replicato ovunque ci sia una comunità forte che vuole partecipare e contribuire”.
Quante persone vengono alle vostre cene?
“Circa 150-200 persone. Il massimo che abbiamo raggiunto è stato 220 commensali. Dunque i soldi che alla fine arrivano al vincitore sono circa 1.500-2.000 euro. Purtroppo non è molto. Il nostro obiettivo adesso è organizzare eventi più grandi: non solo per una sera, ma per diverse sere di seguito”.
Quali errori evitare?
“Bisogna selezionare i progetti in modo democratico e scegliere progetti maturi per partire. Un errore che qualche volta abbiamo fatto è stato quello di selezionare progetti troppo acerbi, che non erano pronti a decollare. Adesso invece scegliamo squadre che hanno già tutto pronto e aspettano solo il nostro contributo in denaro. La selezione deve essere trasparente e onesta, senza favoritismi: questa è una delle nostre preoccupazioni principali. La gente si deve fidare che quello che viene illustrato verrà poi realizzato”.
Basta un attimo per perdere la fiducia…
“Quando facciamo qualcosa di nuovo, facciamo inevitabilmente degli errori. Ma noi non abbiamo paura dei nostri errori e li usiamo per fare meglio in futuro. Cerchiamo di capire quali sono i problemi e cambiare rotta quando è necessario. Per esempio ci siamo resi conto che i creativi hanno bisogno di più soldi di quelli che di solito offriamo. Ecco perché abbiamo in mente un festival che duri più giorni. Un’altra cosa che abbiamo osservato è che il pubblico non è soddisfatto di avere un solo vincitore per ogni cena. La gente vorrebbe che tutti progetti ricevessero dei fondi, in proporzione ai voti ricevuti. Ecco perché un festival più grande ci darebbe la possibilità di premiare tutti i progetti”.
Verficate che i progetti finanziati vengano effettivamente realizzati?
“Restiamo in stretto contatto con la squadra che realizza i progetti per assicurarci che i soldi siano spesi in quella direzione. Alla cena successiva invitiamo chi ha vinto a presentare i risultati o i progressi fatti”.
Quanti progetti presentate ad ogni cena?
“Normalmente da quattro a sei progetti. Ogni ‘presentatore’ ha a disposizione circa otto minuti. E’ come un pitching, ma non in termini rigidi come nel mondo imprenditoriale. Cerchiamo di essere più rilassati e informali, di divertirci. Finora abbiamo raccolto domande per il finanziamento di 50 progetti e siamo riusciti a presentarne 35. Dunque la maggior parte dei progetti è benvenuta”.
Capita che qualcuno del pubblico si unisca ai progetti che vengono finanziati?
“Sì, ed è la cosa che ci piace di più. Si creano un sacco di collaborazioni. Per esempio a una cena un graphic designer che era fra il pubblico si è offerto di creare gratis il marchio per un’associazione che stava nascendo. In un’altra occasione, abbiamo presentato una Ong che si batte per i diritti dei migranti di seconda generazione. Alla stessa cena avevamo invitato anche i creatori di una app ideata per verificare il percorso delle leggi in parlamento. In quel momento il parlamento greco stava producendo una nuova legislazione sui migranti e i creatori dell’app hanno aiutato l’Ong ad avere più visibilità su quei temi. E’ bello che tutto ciò nasca durante una festa, una cena. Siamo felici di non essere solo una piattaforma che finanzia progetti, ma anche una piattaforma che porta la gente a incontrarsi e unire le forze”.
Quando una piattaforma è solo online, questo non succede…
“Con le piattaforme online si riesce spesso a raccogliere molti più soldi. E’ uno stile differente. Ma offline è più personale: implica conoscere le persone che stanno dietro un progetto. E’ un modo più umano di procedere. Noi continuiamo a credere che le connessioni fra le persone siano la cosa più importante”.
Agyro Bartata fa parte di Citizen Lab, una rete europea di attivisti locali nata da un progetto di MitOst, finanziato da Stifung Mercator e Robert Bosch Stiftung.