Cosa ci dobbiamo aspettare se domani la Gran Bretagna avrà votato per uscire dall’Unione europea? Come ricordava l’altroieri George Soros, innanzitututto un movimento immediato al ribasso per la sterlina e anche piuttosto forte.
Secondo vari osservatori si potrebbe addirittura, in un breve periodo, arrivare alla parità con l’euro. Il che per il Regno Unito, a livello commerciale sarebbe un bene, ma solo se fosse un Paese esportatore. Visto che invece è un importatore netto l’effetto sarebbe opposto.
E i britannici si troverebbero con in tasca meno potere d’acquisto. Se diamo poi uno sguardo ai mercati europei in maniera più ampia, gli analisti con gradi di intensità diversa concordano su alcuni fattori.
Gli spread dei titoli di Stato dei cosiddetti Paesi periferici si allargherebbero, anche se non in maniera drammatica, l’oro proseguirebbe la sua corsa al rialzo, il petrolio invece dovrebbe tornare a scendere leggermente. Le borse, almeno nell’immediato, sia quella di Londra che le altre europee, andranno al ribasso.
Nella pratica, da un punto di vista britannico, cosa potrebbe invece comportare un’uscita dall’Unione?
Innanzitutto ci saranno le conseguenze politiche interne: David Cameron ha già detto che non intende dimettersi, ma le pressioni saranno molto forti. Come minimo potrebbe verificarsi un rimpasto di governo, oppure si potrebbe andare a elezioni anticipate in autunno.
Non è un mistero che Boris Johnson in questa partita si stia giocando la sua scommessa per un futuro alla guida dei tories.
Poi ci saranno le lunghe trattative per l’uscita dall’Unione europea che è disciplinata dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Si prevede un periodo di due anni per negoziare la procedura.
Ma qui si apre un grande punto interrogativo, dal momento che nessunoè mai ricorso a questo articolo e qualcuno in Gran Bretagna suggerisce di non utilizzarlo e tentare una trattativa diretta. Di che tipo? Non si sa.
Parlando con il gestore di un importante fondo americano, qualche settimana fa, ci siamo sentiti dire che, a suo modo di vedere, il governo britannico non ha idea di come potrebbe gestire l’uscita.
La fuga delle aziende da Londra verso le altre piazze finanziarie europee, Milano compresa secondo alcuni, è una prospettiva realistica? Alcune grandi banche, come per esempio HSBC, hanno detto che potrebbero spostare alcune delle loro attività a Parigi, Francoforte o Dublino.
I grandi asset-manager invece potrebbero avere problemi di cosiddetta “passportabilità” dei fondi, considerato che una grande fetta di quelli britannici sono regolamentati dalla direttiva europea Ucits. L’impatto sulla City non sarebbe disastroso, ma si farebbe sentire.
E poi ci sono i contratti dei lavoratori europei. Anche qui grande punto di domanda: per farsi un’idea le aziende britanniche in questi giorni stanno mandando mail ai loro dipendenti per rassicurarli sui possibili effetti di una Brexit.
Se vincerà il No venerdì Calais sarà ancora a 33 chilometri da Dover, ma a guardarla da questa parte della Manica di sicuro sembrerà un po’ più lontana.