Forze dell’ordine egiziane in cerca di giovani sostenitori della rivoluzione del 25 gennaio. Una reazione brusca all’intervento della polizia. Una perquisizione sommaria dal quale sono emersi i contatti con ambienti vicini a sindacati, Fratellanza musulmana e Movimento 6 Aprile. Sono i tre momenti fondamentali che spiegano la sparizione e la tortura di Giulio Regeni, il ricercatore 28 enne friulano ritrovato cadavere il 3 febbraio al ciglio dell’autostrada Il Cairo-Alessandria.
Lo rivela il New York Times, che ha parlato con tre testimoni oculari che non hanno voluto dare i loro nomi. Si tratta di tre ufficiali delle forze di sicurezza, che confermano uno dei sospetti: Giulio Regeni è finito nelle mani della polizia. Al contrario, l’8 febbraio, ministro egiziano degli Interni, Magdy Abdel Ghaffar, aveva seccamente scartato l’ipotesi che ci fosse un coinvolgimento di agenti egiziani. “Diversi testimoni – scrive il New York Times – dicono che intorno alle 7 di sera due agenti in borghese davano la caccia ad alcuni giovani nelle strade”. Ad un certo punto fermano anche Giulio Regeni. Una delle fonti dichiara al giornale statunitense: “Era stato molto scortese ed aveva agito come un duro”. Così, da semplice controllo, la polizia procede ad un fermo.
Prima però, le perquisizioni: gli agenti aprono lo zaino che aveva indosso il ricercatore. Ricostruiscono così i contatti con la Fratellanza musulmana (all’opposizione con Al Sisi), contatti con sindacalisti e con esponenti del Movimento 6 Aprile, che guidò la deposizione di Mubarak. La sua rete di amicizie lo rende una sospetta spia. “Dopo tutto – racconta uno degli agenti al New York Times – chi viene in Egitto per studiare i sindacati?”. Come se questo bastasse a renderlo uno dell’intelligence.
Le domande ancora in sospeso sono moltissime. Gli agenti nel quartiere dove abitava il ricercatore friulano stavano cercando proprio lui? Testimoni hanno raccontato ai giornalisti del Nyt che “uno dei due era già stato visto nel quartiere in diverse precedenti occasioni, e aveva fatto domande ad alcune persone su Regeni“.
C’è poi un altro frangente che fa sospettare. Durante il percorso da casa alla metropolitana, dove il ricercatore era diretto, il 28 enne avrebbe dovuto passare sotto l’obiettivo di diverse telecamere di sorveglianza. Sono tanti i negozi che ne hanno a disposizione, nella zona. Eppure, afferma il Nyt, nessuno dei propriatari dice di aver consegnato il nastro della registrazione della telecamera alla polizia. E ormai è tardi: alla fine del mese tutta la registrazione viene cancellata nuovamente. Secondo il quotidiano egiziano al Masry al Youm, inoltre, la procura di Giza non renderà noti i risultati dell’autopsia.
Al funerale di Regeni, il 12 febbraio, in seimila persone si sono recate a Fiumicello, in provincia di Udine. Tra questi, anche il pm che conduce le indagini per l’Italia, Sergio Colaiocco. Il magistrato ha chiesto di sentire la sorella di Regeni e un’amica in quanto persone informate sui fatti e ha già ricevuto dalla famiglia altro materiale che Giulio aveva inviato dall’Egitto.
Da fronte egiziano, però, resiste il muro di gomma alle accuse dirette alle forze di polizia. Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha dichiarato che nei colloqui del Cairo con il governo italiano “non viene sollevata una simile illazione o accusa” circa un coinvolgimento di forze di sicurezza egiziane nella tortura a morte del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni. “Se facessi illazioni che quell’attività criminale è in qualche modo connessa al governo italiano, sarebbe molto difficile condurre relazioni internazionali”, ha avvertito il ministro. La ong Commissione egiziana per i diritti umani ha dichiarato ai microfoni di Sky News che sono almeno 66 gli attivisti desaparecidos dall’inizio del 2016.