Giuliano Pisapia si era deciso a fare il passo della politica nazionale per rivestire il ruolo del pontiere tra il Pd e il resto della sinistra.
Oggi il ponte è in macerie, bombardato da entrambe le postazioni. E il terreno è minato. Ricostruirlo sarà complicato.
Renzi a Milano ha fatto Renzi: duro, aggressivo, sprezzante. Ha dettato la linea a tutti, amici, nemici, aspiranti alleati.
Pisapia a Roma ha fatto Pisapia: gentile, educato, aperto. Ha detto che la politica è fermezza nei principi e dialogo.
La piazza lo ha rispettato ma non si è scaldata per lui. Gli applausi erano timidi, a volte freddi soprattutto quando dal palco pronunciava la parola “unità”. Pisapia si riferiva alle formazioni di sinistra, tutti pensavano ad altro e gli sguardi erano perplessi.
I tremila arrivati a Santi Apostoli in un sabato in cui Roma era deserta, perché c’era il ponte di San Pietro e Paolo e perché la giornata estiva era stupenda, erano soprattutto militanti di Mdp. Persone che hanno appena fatto una scissione sanguinosa, e che considerano Renzi il padrone che li ha buttati fuori di casa dopo una vita. Solo a sentirlo nominare si innervosiscono. Ci ha pensato Bersani: è salito sul palco, ha demolito buona scuola, jobs act, articolo 18 e ha detto che il dialogo ci potrà essere solo su un programma economico chiaramente di sinistra.
Ovazioni, rabbia e orgoglio.
A oggi, dopo l’esito dell’assemblea del Pd a Milano e della manifestazione di “Insieme” a Roma, significa ciascuno per la sua strada.
“La politica non è avere tanti like, la politica non è io o noi” ha detto Pisapia. Applausi di circostanza ma il messaggio, al di là della metafora che non appassiona, è molto preciso: bisogna insistere ancora per il dialogo. Bisogna fare politica. Bisogna mettere da parte i rancori e lavorare per trovare un accordo.
Sarà difficilissimo. Pisapia dopo Santi Apostoli continua a crederci.