Il giorno dopo il centenario della morte di Franz Kafka, lo scrittore Giorgio Fontana è stato ospite di Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare, per parlare del libro “Kafka. Un mondo di verità” edito da Sellerio Palermo.
Le prime righe della sua prefazione al libro ci chiariscono il punto di partenza. Lei scrive: “Ancora Kafka, perché cent’anni dopo la sua morte non ha perso un’oncia di fascino e questo è già un problema.” Perché considera la popolarità di Kafka un problema?
Kafka è forse l’unico scrittore della modernità che ha colonizzato, suo malgrado, il nostro immaginario. Pensiamo solo all’utilizzo che facciamo dell’aggettivo “kafkiano”: noi non diciamo “è una situazione prussiana” o “è una situazione hemingweiana”, ma diciamo spesso “è una situazione kafkiana”. Questa popolarità, così come la diffusione del suo viso, che bene o male tutti hanno visto almeno una volta, rischia di rendere opaco il testo, che è la cosa più importante di fatto. L’obbiettivo è quello di provare a scrostare queste sovrastrutture, anche le proiezioni indebite che abbiamo attaccato a Kafka persona, ma soprattutto al Kafka scrittore
Come è organizzato il libro e come è strutturato?
Dopo la prefazione, in cui chiarisco il motivo per cui mi sono dedicato a scrivere questo libro – io, uno scrittore e non un filologo – cerco di inquadrare la figura di Kafka sia come scrittore che come uomo, attingendo ampiamente alla biografia di Reiner Stach, pubblicata per Il saggiatore. Successivamente, affronto la parte tecnica, che mi ha dato più gioia anche da scrittore. Quello che mi interessava era fare, come dico nel libro, una “scampagnata” all’interno dell’opera di Kafka, identificando i modi con cui Kafka agisce da scrittore, da artista. Cerco di capire come riesce a generare quello stato di straordinaria stupefazione, evitando di considerarlo come un profeta teologo, o come lo chiamava ironicamente Adorno, “ufficio informazioni sullo stato dell’umanità”. Procedo poi ad analizzare più nel dettaglio alcune opere, alcuni racconti, tra cui “La metamorfosi”, “Il fuochista”, e i tre romanzi incompiuti pubblicati dopo la sua morte. Chiudo con un’osservazione sugli ultimi racconti scritti da Kafka e su quello che ci lascia la sua eredità. Questa è la struttura generale del libro.
Questo è un libro molto denso, ma davvero appassionante perché offre anche un viaggio attraverso i rapporti che ebbe con altri uomini di letteratura o altri intellettuali. Si racconta addirittura degli incidenti editoriali subiti dal lavoro di Kafka
La storia di Franz Kafka è molto complessa e merita di essere esaminata attentamente. Un esempio significativo è la pubblicazione dei suoi diari, che avvenne dopo la sua morte, contrariamente ai desideri di Kafka stesso. Fu Max Brod, a decidere di pubblicare questi straordinari capolavori. Questa decisione non dovrebbe essere presa per scontata. Sebbene la scelta di Brod abbia avuto un grande valore letterario, ha comportato un tradimento nei confronti del suo amico.
Inoltre, i diari di Kafka non sono veri e propri diari, ma solo una selezione curata da Brod. Questo è solo un esempio delle molte complessità che circondano l’opera di Kafka. Anche romanzi e racconti, come “Le indagini di un cane”, che consideriamo tipicamente “kafkiani”, sono stati pubblicati successivamente.
In generale, la storia di Kafka è estremamente complicata e merita di essere conosciuta, per evitare di pensare alla sua opera come qualcosa di finito e definito. Kafka non aveva un controllo completo sulla sua opera come potremmo pensare. Conoscere queste sfaccettature è un modo per rispettare la sua memoria.
Insomma, Kafka ci appartiene ma non si fa possedere… un’altra piccola provocazione, nel libro, è dire che Kafka non era kafkiano!
Questo risale a una conferenza che ho tenuto anni fa al FestivaLetteratura di Mantova e che che mi spinse a mettere insieme tutti gli appunti che avevo già preso su Kafka, un amore che per me dura da da una vita. L’idea era quella di dire che si può leggere Kafka senza gli “occhiali kafkiani”, cioè senza aspettarci di trovare la critica alla burocrazia, il rapporto padre-figlio, che poi sono cose che ritroviamo comunque. Ma questo kafkianesimo ci preclude tutta la straordinaria bellezza della sua prosa e altre cose inaudite. Mi è capitato di leggerlo in questa maniera ad amici e parenti, che sono rimasti sbalorditi nel vedere cosa avesse veramente scritto Kafka. Ma non è farina del mio sacco, già i migliori critici hanno fatto questa osservazione. C’è un bellissimo saggio di Ladislao Mittner che si intitola “Kafka senza kafkismi”, se non sbaglio del 1954. Ecco, io mi sono limitato ad aggiornarlo e a metterci un po’ di pepe da scrittore.
Giorgio Fontana, nell’ultima parte del libro viene analizzata anche l’immagine di Kafka, non un elemento secondario, dato siamo nell’epoca dell’assoluto predominio dell’immagine, e anche perché la sua immagine aveva caratteristiche particolari, che hanno determinato la sua diffusione come icona pop…
L’immagine di Kafka era inimitabile, da perenne ragazzino, aveva un aspetto giovanile anche negli ultimi anni, quando era molto malato. Quando pensiamo alla faccia di Kafka, pensiamo quasi a quella foto famosissima con gli occhi sgranati, della Getty Foundation. Sì, occhi che penetrano da parte a parte, una foto stupenda. Ma ci sono altre foto, non tante purtroppo, che meritano di essere conosciute. Io sono affezionato a quella in cui sorride, perché era una cosa che faceva spesso, era un uomo dotato di un meraviglioso senso dell’umorismo, un uomo molto dolce. Mi viene in mente un aneddoto che mi sembra possa concludere bene la nostra conversazione. Un giorno, la fidanzata di Kafka, Felice Bauer, andò a trovarlo a Praga e portò la macchina fotografica, appena comprata. Era una fotografa alle prime armi e scattò una foto al suo fidanzato. Ma essendo appunto una fotografa della domenica, l’immagine era soffusa da una nube bianca, perché probabilmente era bruciata la pellicola. Io, sempre con un pizzico di ironia, trovo che questa immagine sia molto più rispondente al vero, proprio perché in essa Kafka ci appartiene ma non si lascia prendere e, in questa imprendibilita, c’è il suo fascino. A mio avviso, occorre avvicinarsi a lui con grande amore, ma anche con grande umiltà.