Il 10 agosto Jumann Arfa ha pubblicato su Facebook l’annuncio: i gemelli sono arrivati. Asser e Ayssel, un maschio e una femmina. I primi figli di Jumann e di suo marito Mohamed. Jumann, che era una farmacista, aveva partorito con un taglio cesareo e gli amici, sotto il suo post su Facebook, si rallegravano che tutto fosse andato per il meglio, nonostante le condizioni in cui le donne nella striscia di Gaza devono partorire.
Jumann e Mohamed poche settimane dopo l’inizio della guerra avevano dovuto lasciare la loro casa a Gaza City ed erano sfollati nel centro della striscia, a Deir el Balah, come ordinato da Israele. Con fatica avevano trovato un appartamento, perché una tenda non va bene per una donna incinta. Il 13 agosto il papà dei neonati è andato a registrare la loro nascita all’ufficio anagrafe poco lontano da casa. È qui che è arrivata la telefonata dai vicini: “La tua casa è stata colpita”, sono morti tutti: Jumann, sua madre e i due gemelli, nati da 4 giorni.
In questi 10 mesi, i bambini uccisi dai raid israeliani a Gaza nati dopo il 7 ottobre sono 115, più di duemila invece i bambini morti che avevano meno di due anni. In totale, sono quasi 40mila le vittime. Non sono solo numeri. Ogni morto, ogni ferito, ogni disperso ha una storia e una famiglia distrutta alle spalle. A gennaio, da Rafah, Jumann, scriveva su Facebook: “Ci vorrà un cuore più grande per sopportare tutto questo dolore, ci vorranno tante preghiere per dimenticare tutto quello che abbiamo passato”. Noi, invece, non dovremmo dimenticare mai.