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L’inesistente coscienza dei droni

Il titolo in originale è Eye in the Sky, con un senso un po’ differente rispetto alla traduzione italiana di Il diritto di uccidere, come quello che fu il film di Nicholas Ray del 1950, prodotto e interrpetato da Humphrey Bogart. Ma non facciamoci scoraggiare dal titolo, perchè il film di Gavin Hood offre parecchi spunti di riflessione, una regia da thriller e piena di suspence, con un cast che va da Helen Mirren ad Alan Rickman.

Già vincitore di un Oscar con Il suo nome è Tsotsi, il regista sudafricano si concentra sul dilemma morale che accompagna gli attacchi a distanza da parte di chi manovra i droni. E’ recente il film Good Kill di Andrew Niccol incentrato sulla figura di uno di questi soldati moderni, interpretato da Ethan Hawke, un uomo completamente impazzito dall’euforia di poter uccidere a distanza come in un video gioco. Gavin Hood invece dona un’umanità, forse un po’ irreale o forse no, a questa truppa capitanata a distanza dal Colonnello Powell (Helen  Mirren).

L’operazione in atto è studiata per eliminare un gruppo di terroristi che stanno preparando un attentato in Kenya, individuati via satellite  all’intero di un casolare. Sembrerebbe semplice sganciare una bomba sull’edificio, come ordina il Colonnello da lontano, ma appena fuori dalle mura c’è una bambina che vende il pane, fatto in casa dalla madre.

Per tutta la durata del film, girato tra il Sudafrica e il Regno Unito, si assiste al tormento, dentro e fuori, nella sala comando e nel territorio da colpire, di una decisione che qualsiasi essa sia, produrrà delle vittime. Un film modernissimo per i temi, ma quasi demodè per le domande che si pone e che invita a porsi. Domande che evidentemente stanno alla base di scelte politiche globali e che il regista invita a porsi prima di trovarsi di fronte al fatto da compiere.

 

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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