La capitale del Gabon, Libreville, è nel caos, ci sarebbero almeno due morti e una ventina di feriti. Motivo: è andato in scena il solito copione africano dei presidenti che perdono le elezioni e non se ne vogliono andare.
Le cose sono andate così. Alla notizia della vittoria elettorale di Ali Bongo sono cominciate le proteste. Una folla di persone ha attaccato e incendiato un’ala del parlamento. Soldati con berretti verdi, cioè un reparto scelto che supporta la guardia presidenziale, hanno immediatamente aperto il fuoco contro la folla con granate stordenti, candelotti lacrimogeni e probabilmente anche proiettili veri.
Poco dopo la guardia presidenziale con l’ausilio di elicotteri ha attaccato il quartier generale dell’opposizione. Le due vittime sono rimaste uccise in questo attacco notturno.
In Gabon sì è votato domenica per le presidenziali e i risultati – vista l’esigua popolazione del Paese, poco più di un milione e mezzo di abitanti – erano attesi per martedì. La commissione elettorale li ha resi noti ieri e ha assegnato la vittoria ad Ali Bongo con un vantaggio esiguo, circa l’1,5 per cento, sul rivale Jean Ping.
Chi sono questi due personaggi. Ali Bongo è figlio di Omar Bongo, l’uomo che ha governato il Paese per ben 42 anni, dal lontano 1967. Quella dei Bongo è praticamente una dinastia che si è impossessata del Paese che è ricchissimo di petrolio e ha una foresta preziosa di alberi pregiati che forniscono un legno ambito da molte imprese straniere. Il rivale di questo rampollo ereditario non è un personaggio qualunque. Si chiama Jean Ping, nero ma con lontane origini cinesi che fino a qualche anno fa era una delle teste pensanti dell’entourage presidenziale, tanto che era stato nominato segretario generale dell’Unione Africana.
Un personaggio che, nel vuoto politico e nell’esasperazione della popolazione, ha catalizzato, evidentemente in modo inaspettato per il regime, molti voti. Il ritardo nella proclamazione ufficiale della commissione elettorale è dovuto probabilmente al fatto che ci si è trovati di fronte a una vittoria di Jean Ping e si è dovuto decidere come procedere.
In quelle ore convulse la commissione elettorale ha probabilmente dovuto inventarsi un sistema per assegnare la vittoria ad Ali Bongo. Lo ha trovato sfruttando una regione, quella di Haut Ogooué, dove l’affluenza è stata del 99 per cento mentre quella nell’intero Paese ha solo sfiorato il 59 per cento. In quelle ore poi la pagina Wikipedia di Haut Ogoouè è stata cambiata almeno una decina di volte modificando il numero di abitanti che sono passati da 54mila a 250mila. Inutile dire che il voto in questa regione è stato praticamente un plebiscito per Bongo, il 95 per cento dei consensi.
La rivolta, scoppiata spontanea (anche se sotto l’ala dell’opposizione) ha fatto pensare – o sperare – a una replica di ciò che è avvenuto in Burkina Faso con l’eterno Blaise Compaoré che è stato costretto alla fuga.
In Gabon è però tutto più complicato. Bongo e il suo entourage sono protetti da una guardia presidenziale che è formata essenzialmente da contractors marocchini (il presidente, evidentemente, non si fida dei suoi militari) e questi sono già stati impiegati anche in operazioni di intelligence e repressione. Poi la popolazione esigua e il Paese che è praticamente limitato alla capitale, Libreville, rendono tutto più controllabile. Una constatazione finale però è d’obbligo. E’ ormai evidente che la società civile africana è sempre più motivata a liberarsi di dittatori ferrei che non distribuiscono ricchezza e tengono interi paesi in ostaggio dei loro entourage.