
Come tutta la società, il mondo dell’arte e della cultura è segnato dalle violenze in modo imponente e diffuso. Sono violenze tollerate e alimentate da un sistema sessista e patriarcale che oggettivizza e invisibilizza le donne, mette il genio creativo e il talento al di sopra di tutto e minimizza o addirittura nega le violenze, a partire da quelle di genere. È questo, in poche parole, quello che emerge dal rapporto presentato oggi in Francia dalla commissione d’inchiesta sulle violenze sessuali ma non solo, commesse nel mondo del cinema, dell’audiovisivo, delle performance dal vivo, della moda e della pubblicità.
I capitoli del rapporto, dai cui titoli è tratto questo breve riassunto, offrono un’immagine agghiacciante del settore della cultura francese. Una “macchina maciulla talenti”, in cui la precarietà generalizzata, la dipendenza dalla rete di conoscenze per poter lavorare, la promiscuità permanente e una rigida struttura gerarchica basata sui soldi e sul successo consentono a chi commette abusi di farlo in totale impunità.
La creazione di una commissione d’inchiesta è nata da una domanda rivolta al parlamento nel marzo del 2024 da Judith Godrèche, una delle protagoniste del movimento MeToo in Francia. Attrice e regista, aveva da poco denunciato per stupro su minore due famosi registi francesi, rompendo decenni di silenzio. Dopo sei mesi di lavoro e quasi 120 ore di udienze pubbliche e a porte chiuse, con 350 professionisti, a cui si sono aggiunte centinaia di testimonianze, in gran parte dal mondo del cinema ma non solo, i deputati scrivono che ormai: “Nessuno potrà più dire che non sapeva”.
C’è l’attrice a cui hanno chiesto di infilare nella vagina un uovo, sottintendendo che se fosse stata una vera attrice avrebbe saputo farlo; quella a cui hanno detto che è perché lei soffre che il regista è felice; quella a cui hanno parlato del fascino della “vulnerabilità carismatica” della recitazione, particolarmente sensibile nelle attrici sopravvissute a stupri incesti. Sara Forestier ha raccontato di aver rifiutato ti togliersi le mutandine durante il suo primo casting, a 13 anni, o di essersi sentita dire, a 15, da un direttore di scena: “ho voglia di farti l’amore nel sedere”. Anna Mouglalis ha ricordato gli schiaffi non concordati ricevuti durante una scena di violenza sessuale, e quell’immagine rubata dei suoi genitali, conservata al montaggio e nel trailer contro la sua volontà.
Insomma, pare proprio che la celebre frase di François Truffaut sul cinema, inteso come l’arte che “consiste nel far fare belle cose alle belle donne”, citata “per ridere” dal direttore della Cinémathèque francese durante la sua audizione, non sia altro che il modo in cui certi registi concepiscono davvero il loro mestiere. Riprendendo la metafora della “grande famiglia” della cultura, che impiega attivamente oltre mezzo milione di persone e tangenzialmente circa un altro milione, la commissione ricorda che è proprio in famiglia che le violenze sono più diffuse e che il modello francese di creazione artistica deve cambiare radicalmente per diventare più sicuro.
Viste le resistenze e la difficoltà che molti degli intervistati durante l’inchiesta hanno mostrato nel riconoscere le loro responsabilità e nel prendere coscienza della dimensione del problema, le 86 raccomandazioni fatte dalla commissione per affrontarlo sono solo l’inizio di un processo ancora lungo. Che non fa tra l’altro che sfiorare le discriminazioni e violenze razziste e abiliste. Ma ammettere di avere un problema è già il primo passo per affrontarlo.