Negli ultimi anni in Francia riemerge regolarmente il dibattito sulla possibilità di fare del femminicidio un reato a tutti gli effetti iscritto nel codice penale. Tra i promotori di questa proposta c’è l’organizzazione femminista Nous Toutes. Maëlle Noir è membra del loro comitato nazionale e dottoressa di ricerca in Diritto proprio su questi temi:
Per noi è importantissimo inserire nel codice penale il reato di femminicidio perché il termine aggiungerebbe un valore simbolico all’omicidio di una donna in quanto donna. I magistrati e chi lavora nel mondo del Diritto dice spesso che l’arsenale giuridico è sufficiente, al giorno d’oggi, per condannare penalmente i femminicidi. Ed è vero che oggi i femminicidi sono perseguiti in quanto omicidi od omicidi aggravati in ambito coniugale. Ma è una definizione che non prende in conto l’origine patriarcale, legata al genere, del femminicidio. Codificarlo permetterebbe non solo di mandare alla vittima il segnale che la legge la protegge, ma direbbe anche al potenziale aggressore che le violenze femminicide sono punite in quanto tali.
Chi si oppone a questa possibilità, compresa la Commissione Nazionale di Consulenza sui Diritti Umani nel 2016 e un rapporto parlamentare del 2020, avanza tra le altre obiezioni che creare il reato di femminicidio vuol dire intaccare il principio di neutralità e universalità della giustizia. Negli ultimi anni, con l’abolizione dei termini di parricidio e di infanticidio si è andati più in questa direzione. È il principio per cui siamo tutti uguali davanti alla legge.
Il principio di universalità della giustizia e dell’applicazione egalitaria della giustizia e delle pene è un principio generale del diritto. Noi, in quanto associazioni femministe, consideriamo che in realtà sia un principio applicabile solo in una società realmente egalitaria e paritaria. Cioè dove non si discrimini in base al genere, alla razza, alla classe sociale o ad altre caratteristiche identitarie. E, per l’appunto, denunciamo questa pretesa di obiettività e di neutralità della giustizia che non tiene conto della realtà in cui viviamo. Una realtà che paritaria ed egalitaria non è, per lo meno non in Francia.
Un’altra importante obiezione porta sul merito. La legge ha bisogno di definire chiaramente un reato per poterlo provare e quindi punire ma la definizione stessa di cosa sia un femminicidio è problematica e non univoca. Voi cosa proponete?
Abbiamo lavorato e riflettuto a lungo con Nous Toutes e le organizzazioni dell’Inter Orga Féminicides, con cui tra l’altro contabilizziamo i femminicidi in Francia, proprio per poter arrivare a una definizione precisa. Dopo un anno di lavoro abbiamo proposto di definire femminicidio ‘l’assassinio o il suicidio indotto di una donna in base al suo sesso e indipendentemente dall’età e dalle circostanze.’ Aggiungiamo che i femminicidi si iscrivono in un contesto di violenza patriarcale sistemica e/o all’intersezione di altri sistemi d’oppressione. È chiaramente una definizione militante e forse complicata da tradurre in termini giuridici perché in materia penale è a esempio difficile stabilire e provare il nesso causale tra violenze di genere, suicidio indotto e quindi femminicidio. Ma per noi è una base di partenza su cui potrebbe lavorare il legislatore e che include anche i femminicidi avvenuti al di fuori dell’ambito della coppia.
Se il dibattito è aperto sull’idea di creare il reato di femminicidio c’è invece un certo consenso sull’introduzione del reato di controllo coercitivo. Di che si tratta e per voi è sufficiente?
Il controllo coercitivo è una forma di violenza di genere che si traduce per esempio con la violenza psicologica e dei meccanismi di controllo e potere che possono comprendere il fatto di impedire a qualcuno di dormire o di usare la macchina, ma anche gli insulti. Sono tutti elementi che potrebbero essere inclusi nel reato di controllo coercitivo, che al momento non esiste in Francia ma è previsto da altre giurisdizioni. Quella spagnola, ad esempio, ma anche irlandese o del Regno Unito. Se ne parla anche nella convenzione di Istanbul e per noi è cruciale che si inizi a prendere in conto questo tipo di violenze coercitive. Perché fanno parte di quella catena piramidale di violenze che vanno per gradi, a partire dagli atti e insulti sessisti, e che possono culminare nel femminicidio. Quindi è importante codificare il controllo coercitivo per interrompere questa catena di violenze e prevenire i femminicidi agendo su tutta la linea. Penso però che oggi in Francia i poteri pubblici non abbiano preso veramente coscienza di quello che andrebbe fatto per contrastare i femminicidi. Ce ne sono stati oltre 860 dall’inizio del primo quinquennio di Macron e le misure di prevenzione e di risposta sono chiaramente insufficienti. La Francia spende circa 150 milioni all’anno per lottare contro la violenza sulle donne. Le organizzazioni femministe chiedono un budget di 3 miliardi, cioè circa lo 0,1% del PIL e sono loro che stanno facendo un vero lavoro di sensibilizzazione su questi temi. Le loro istanze iniziano a pervadere l’ambiente mediatico e in parte quello politico ma c’è ancora poca volontà politica di varare delle misure concrete e ambiziose per far fronte al problema delle violenze femminicide.