![Fleishman a pezzi](https://www.radiopopolare.it/wp-content/uploads/2023/02/Fleishman-a-pezzi.jpg)
Il titolo italiano, Fleishman a pezzi, ammicca all’Harry a pezzi di Woody Allen, e non è un caso: l’ambientazione borghese e newyorkese, la crisi di mezza età, la psicoanalisi dei sentimenti, le idiosincrasie e le nevrosi di quello che a prima vista appare il protagonista del racconto sono tutte caratteristiche che ormai da decenni riconduciamo facilmente ai lavori alleniani.
Il protagonista in questione, tra l’altro, è interpretato da Jesse Eisenberg, che per Woody Allen ha recitato in Café Society, nel 2016, portando perfettamente sullo schermo lo stile del cineasta. Ma Fleishman a pezzi, che debutta su Disney+ il 22 febbraio (e il cui titolo originale è Fleishman Is in Trouble, “Fleishman è nei guai”) non è un film di Woody Allen, ma una miniserie tv tratta da un bestseller dell’autrice Taffy Brodesser-Akner, già giornalista del “New York Times Magazine”.
Brodesser-Akner ha curato personalmente l’adattamento televisivo del suo romanzo, esordendo anche come showrunner e firmando le sceneggiature di sette episodi sugli otto totali. La regia delle puntate è invece affidata quasi interamente a due coppie di registi – Jonathan Dayton e Valerie Faris (celebri soprattutto per il cult Little Miss Sunshine) e Sheri Springer Bergman e Robert Pulcini (autori, tra gli altri, di American Splendor) – e suona in qualche modo appropriato, visto che Fleishman a pezzi è, tra molte cose, la storia di una coppia, di un matrimonio e di un divorzio.
Jesse Eisenberg interpreta Toby Fleishman, medico quarantunenne, ricco e di successo; le sue nozze con Rachel (impersonata da Claire Danes, ex attrice adolescente in Romeo + Giulietta, poi acclamata e premiata in tv come star di Homeland) si sono concluse dopo 15 anni, e Toby scopre che infinite possibilità sessual-sentimentali lo aspettano, a portata di swipe, sulle app di appuntamenti. Solo che Rachel gli fa piombare in casa i loro due figli con un giorno d’anticipo sul calendario familiare, scombinandogli tutti i piani, e poi sparisce – un evento che Toby vive come un brutto scherzo ai suoi danni, e con una tale irritazione da metterci fin troppo tempo a capire che Rachel è, in effetti, scomparsa, e che potrebbe essere in pericolo.
Fleishman a pezzi ha anche una terza protagonista, l’amica di gioventù con cui Toby riallaccia i rapporti, Libby, interpretata da un’ottima Lizzy Caplan (già protagonista delle serie Masters of Sex e Castle Rock), il cui personaggio ha qualche caratteristica in comune proprio con la scrittrice della storia Brodesser-Akner e che funge anche da voce narrante dell’intera serie, commentando in modo talvolta caustico talvolta acuto gli eventi che riguardano Toby e Rachel (e anche i propri). E se Rachel potrebbe esser definita una tipica donna in carriera, ambiziosa e risoluta, Libby è un’ex giornalista che ha abbandonato la professione per fare la madre e la casalinga a tempo pieno, trasferendosi con la famiglia nel New Jersey.
La serie si costruisce, puntata dopo puntata, sullo slittamento dei punti di vista attraverso cui guardare e raccontare questa storia: se istintivamente, proprio come accade all’osservatrice Libby, ci viene automatico parteggiare per Toby e trovare incomprensibili, se non egoiste, le scelte di Rachel, a un certo punto la prospettiva si ribalta, rivelando altre narrazioni e, con esse, altre verità. Tutti i personaggi sono accomunati, prima di tutto, da una crisi esistenziale che si esprime e deflagra secondo modalità diverse, perché differenti sono le personalità dei protagonisti e le condizioni in cui si trovano.
Tra flashback e, come dicevamo, cambi di punto di vista, Fleishman a pezzi si costituisce appunto come un puzzle da rimettere insieme, o come un prisma attraverso cui guardare le molte sfumature di un’esistenza, una famiglia, un’identità, in quel momento della vita in cui si inizia a fare i conti con il proprio sé, con quello che si è diventati, con quello che si è perso e con il tempo che rimane. Magari poi imparando a guardare con nuovi occhi anche i nostri più o meno consapevoli pregiudizi.