“Sono finalmente libero”. Alle 5,30 di questa mattina il telefono di Romina Cavatassi si illumina. Il fratello, per sette anni coinvolto in una complicata vicenda giudiziaria, detenuto e condannato a morte, manda il suo primo messaggio da uomo libero. La Corte suprema della Thailandia ha ribaltato la sentenza e ha assolto con formula piena il cinquantenne abruzzese, che ora è atteso in Italia, forse per Natale.
Era l’unico italiano condannato all’estero alla pena di morte, si sono mossi in tanti negli ultimi mesi per chiedere la sua liberazione, l’ultimo appello in ordine di tempo è stato quello del Presidente della Camera.
Denis Cavatassi era stato condannato con l’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio del suo socio in affari, Luciano Butti, ucciso con alcuni colpi di pistola nel 2011. Cavatassi si era recato alla polizia per essere utile alle indagini, invece finì in manette. I suoi difensori hanno sempre sostenuto che non ci fossero prove a suo carico, inizialmente era stato rilasciato dietro al pagamento di una cauzione e anziché tornare in Italia era rimasto in Thailandia perché convinto di poter dimostrare la propria innocenza.
Invece per ben due gradi di giudizio, prima nel 2015 e poi nel 2017, era stato condannato alla pena capitale. Dopo l’ultima sentenza, dal 2017, si trovava in prigione. Sono stati mesi durissimi, in alcune lettere alla famiglia descriveva la detenzione, al limite della sopportabilità umana: per un mese e mezzo con i ceppi ai piedi e una catena fissata al muro, raccontavano i famigliari in Italia, in duecento in una stanza che ne poteva contenere la metà.
La campagna per la sua liberazione si è intensificata a ridosso dell’attesa sentenza della Corte Suprema. La famiglia è stata assistita da Alessandra Ballerini, la stessa legale che difende la famiglia Regeni, ci sono stati appelli di molte personalità della cultura e della politica, Luigi Manconi tra gli altri.
Per ultimo anche l’invio di molte lettere di cittadini comuni e di scrittori, Moni Ovadia tra i primi, l’iniziativa “Una lettera per Denis” era stata pensata dalla famiglia per far sentire la mobilitazione e la solidarietà dall’Italia.
Oggi la sentenza. “Sono strafelice e ringrazio tutti coloro che ci hanno aiutati”, dice la sorella, che attende di poterlo risentire già stasera e vedere presto in Italia, insieme alla moglie thailandese e la figlia di otto anni.