Ha visto passare una dozzina di presidenti degli Stati Uniti, che si ripromettevano ogni volta di rovesciarlo. Lo hanno dato per morto un sacco di volte. Il suo coccodrillo è pronto da qualche decennio nelle redazioni dei giornali di tutto il mondo; con la stampa a speculare sulle sue condizioni di salute ad ogni assentarsi pubblico appena prolungato.
E invece Fidel Castro Ruz è arrivato ai novant’anni; in fragile salute ma mentalmente lucido.
Qui risiede uno dei motivi della lunga durata (ad appena 90 miglia dalle coste degli Usa) della rivoluzione cubana, anch’essa alle soglie dei 60 anni: l’essere guidata da uno dei più grandi e abili statisti del secolo scorso, la cui longevità ha sfidato qualche centinaio fra attentati e complotti della Cia; che con la sua eliminazione avrebbe sicuramente azzerato l’esperienza cubana.
L’altro fattore decisivo per la sopravvivenza della Cuba castrista è paradossalmente rappresentato dall’essere un’isola; dunque non subdolamente infiltrabile via terra, ma invadibile solo con un troppo clamoroso sbarco tout court (come per la fallita invasione della Baia dei Porci del 1961).
Il lider maximo cubano si è ritirato invece una decina d’anni fa per naturali problemi di salute (con gli osservatori internazionali a scommettere che il regime non sarebbe durato).
Suo fratello Raul gli è succeduto; e il ruolo delle parti fra i fratelli Castro si è invertito: con Fidel stavolta a fare il “cattivo” o comunque il diffidente sulla buona fede degli Stati Uniti nel recente storico riavvicinamento.
Di lui hanno detto i più (anche a sinistra) che sia stato un dittatore. Persino un satrapo.
Ma a vedere come sta procedendo la storia recente dell’umanità, fitta di squali della globalizzazione del dio denaro, di fronte a tanta resistenza di una Cuba dignitosamente (suo malgrado) austera, verrebbe ancora da dire, se possibile: larga vida a Fidel y a la Revolucion.