“Il patto di stabilità e crescita sarà applicato tenendo conto degli sforzi straordinari dei Paesi”. Parola del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Lo dichiara due giorni dopo il summit dei Paesi balcanici. Detto in altre parole, Bruxelles intende tollerare spese pubbliche troppo alte se un Paese si occupa della questione profughi.
Ogni area di crisi dell’Unione è alla ricerca di una soluzione per la propria emergenza: la Grecia e l’Italia con i loro sbarchi, i Paesi della rotta balcanica con i loro transiti, la Germania con le centinaia di migliaia di richieste di asilo. E Bruxelles nel suo complesso arranca, tanto che Juncker è costretto a dire che “l’Ue non versa in buone condizioni”.
La questione migranti continua a far emergere le contraddizioni dell’Unione. I funzionari di Bruxelles hanno quindi fatto della flessibilità economica una moneta di scambio per chi si prenderà in carico il problema dei profughi, sollevando il resto delle istituzioni europee. Anche l’Italia conta su questo tipo di bonus, visto il ruolo cruciale nelle rotte verso l’Europa: nella Nota di aggiornamento al Parlamento dell’ultimo Documento di economia e finanza (datata 18 ottobre) si chiede un margine di 3,3 miliardi di euro per lo sforzo sui migranti.
Senza, per altro, giustificare le previsioni di spesa.
Non c’è solo questo nelle intenzioni dell’Europa. Sta prendendo forma l’idea di appaltare a Paesi terzi la gestione delle frontiere. Il sistema, su cui l’Italia ha cominciato a lavorare durante la Presidenza del Semestre europeo, si chiama Processo di Khartoum e coinvolge un Comitato principale (Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Malta) e i più significativi Paesi africani di transito (Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Sudan). L’11 e 12 novembre è stato convocato un incontro a La Valletta, che diventerà la capitale dell’Unione per due giorni. All’incontro parteciperanno l’Unione europea, la Commissione dell’Unione Africana ma anche la Commissione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), l’Onu, l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati) e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni.
In cambio di aiuti economici e prestigio internazionale, i Paesi africani gestiranno il flusso dei migranti; un modo per fermarli prima che entrino nei confini europei. “Il Processo al momento sta andando ancora a rilento”, spiega Eugenio Ambrosi, direttore regionale a Bruxelles dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, uno dei pochi non governativi che si siede al tavolo delle trattative. “È un momento importante – prosegue – può essere un’occasione per costruire dei nuovi strumenti di cooperazione allo sviluppo”.
Il Processo di Khartoum è il contesto all’interno del quale si inserisce questa azione. Il modo per persuadere i Paesi africani a cooperare invece si chiama Emergency Trust Fund for stability. Il fondo dovrebbe contare alla fine di 1,8 miliardi di euro da destinare ai Paesi africani per la “lotta al traffico dei migranti” .
Una formula ancora vaga e che riporta alla memoria gli errori del passato. Come nel 2009: in Italia premier era Silvio Berlusconi e al Viminale sedeva Roberto Maroni. I due pensarono di azzerare l’arrivo dei migranti con il famoso Pacchetto sicurezza. Alla riduzione degli sbarchi corrispose un aumento dei violazioni nei diritti umani dei migranti. “Gli errori commessi nel passato sono da evitare oggi”, rammenta Ambrosi.
Ma la contraddizione resta: per evitare di gestire i migranti, Bruxelles paga i dittatori che governano i Paesi da cui i migranti stessi scappano.