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Tratto dal podcast
Fino alle otto di lun 17/02 (terza parte)
Italia | 2020-02-17
Dall’inizio del 2020, neanche due mesi, in Italia sono già stati commessi 14 femminicidi. L’ultimo in ordine di tempo si sarebbe potuto evitare se le misure già messe in atto, il divieto di avvicinamento, fossero state monitorate ed affrontate in modo diverso. Ne abbiamo parlato con la senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere.
L’intervista di Alessandro Braga a Fino alle Otto.
Ieri Matteo Salvini a Roma ha lanciato un attacco alle donne e ha parlato di un pronto soccorso che nel 2020 non può essere “utilizzato per stili di vita incivili”. Cosa ne pensa?
Matteo Salvini in questi ultimi mesi ci ha purtroppo abituato a questo linguaggio e questo stile, ma soprattutto a questa cultura politica. Rispetto alle donne il governo gialloverde ha fatto scelte assolutamente sbagliate che hanno dimostrato in più di una circostanza qual è la concezione che ha Matteo Salvini dell’autonomia e della libertà delle donne. Per Matteo Salvini le donne devono stare a casa a fare i figli. Negando loro le scelte di autonomia e libertà credo che posizioni l’Italia in un grado di inciviltà e di arretratezza che l’Italia non merita e che i cittadini non meritano e che le donne italiane non meritano.
Ricordiamo che autonomia, libertà, lavoro ed emancipazione delle donne fanno anche il grado di civiltà di un Paese. E questo non vale soltanto per l’Italia, vale per tutti i Paesi. Insieme alla vicenda del terzo figlio, ricordiamo che Matteo Salvini ha detto “fate il terzo figlio e vi regaliamo un pezzo di terra”, voleva riaprire le case chiuse o discutere il DDL Pillon che sostanzialmente impediva quasi alle donne di fare scelta di libertà rispetto al proprio percorso sentimentale e di vita, ma che imponeva loro anche il rischio di perdere i figli e la responsabilità genitoriale di fronte alle violenze subite dall’uomo. La concezione di Matteo Salvini su questo terreno, purtroppo e drammaticamente, mantiene una coerenza. E questo è veramente un problema perché non solo siamo nel 2020, ma è un problema perché le scelte di autonomia e di libertà sono le uniche che consentono alle donne di affermare quello che sono e di affermare e utilizzare le loro competenze e la loro professionalità per il bene del Paese, per l’economia e la dinamica positiva di un Paese. Se noi affrontassimo questo problema non faremmo soltanto un favore alle donne, ma faremmo un favore al Paese.
Non capisco come nel 2020 si possa pensare che le donne debbano stare a casa e fare figli.
La questione è strettamente legata alle violenze e ai femminicidi. L’indipendenza economica di una donna è uno strumento per allontanarsi da un marito o un compagno violento. Cosa può fare la politica contro i femminicidi?
Intanto bisognare fare uno sforzo tutti insieme per capire che si tratta di un’emergenza in termini di numeri, ma che non è un’emergenza in termini di prevedibilità del fenomeno. Siamo di fronte di un fenomeno che viene da lontano, non nasce all’improvviso, e che in questi giorni emerge nella sua drammatica chiarezza e per quello che è: la violenza sulle donne non è una violenza qualunque, non è una violenza dovuta ad un raptus o ad una tempesta emotiva di gelosia. La violenza sulle donne arriva sempre dopo segnali molto chiari. È l’espressione di una idea e di un modo in cui tanti uomini vivono quel rapporto e quella relazione, che loro leggono come un rapporto profondamente asimmetrico e diseguale in termini di relazione e di rapporti di forza. Sentono che la donna è un oggetto di loro proprietà, sentono che la donna appartiene loro e sentono che di quella donna possono fare e disfare. Quando una donna compie una scelta in termini di autonomia e libertà, loro provano in qualche modo a negarle questa possibilità.
Le strade che abbiamo per affrontare in maniera adeguata la violenza di genere sono due: battaglia culturale, che significa scuole, università, libri di testo e formazione adeguata per tutti gli operatori della filiera che un domani affronteranno questo problema; rafforzare l’efficacia delle misure di protezione. Quest’ultimo caso di femminicidio ci parla di un uomo che aveva il divieto di avvicinamento. È una misura di protezione importante, ma dobbiamo fare in modo che sia effettiva.
Noi come commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio abbiamo depositato un disegno di legge che va a modificare Codice Rosso, l’attuale impianto normativo, per fare in modo che, in caso di divieto di avvicinamento, non solo dovremmo utilizzare più e meglio il braccialetto elettronico, non solo tentiamo di fare in modo che l’operatore possa intervenire immediatamente, ma addirittura disporre il fermo o l’arresto indipendentemente dalla flagranza di reato. Arresto immediato quando si violano le misure di protezione. Oggi abbiamo istituito il reato, ma un ufficiale che arriva sul posto e vede questo divieto ignorato non può immediatamente arrestarlo. Noi dobbiamo fare in modo che questo accada, così da utilizzare più efficacemente queste misure che in astratto solo assolutamente giuste.
I centri antiviolenza denunciano spesso una scarsità di risorse e una farraginosità nel far arrivare queste risorse ai centri. Come si può risolvere?
È assolutamente vero. La legge 119, approvata qualche anno fa, purtroppo prevede dei meccanismi ancora troppo farraginosi, perché molto spesso questi soldi dallo Stato centrale vengono trasferiti alle Regioni e dalle Regioni ai Comuni e ognuno può adottare una procedura diversa e i criteri per riconoscere effettivamente i centri che svolgono queste attività sono abbastanza opinabili.
Noi abbiamo ascoltato tutti i centri antiviolenza e le ong che hanno fatto questi monitoraggi e attente analisi di come funziona questa redistribuzione di risorse e il loro effettivo utilizzo, e abbiamo deciso di consegnare la nostra prima relazione al Parlamento – la consegneremo nel mese di marzo – che dice come e dove modificare questa legge 119.
Abbiamo fatto una battaglia in questa legge di bilancio e abbiamo ottenuto 4 milioni in più all’anno per il piano antiviolenza. Ne avevamo chiesto 10, ma mi sembra comunque un passo in avanti. In questo momento il vero soggetto prezioso e insostituibile sono i centri antiviolenza. Una donna che deve denunciare deve innanzitutto andare in un centro antiviolenza, essere seguita da un avvocato di un centro antiviolenza durante la fase di presa di coscienza di quello che è accaduto.
Foto dalla pagina Facebook della senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui femminicidi