Già da molto tempo il cinema ha superato l’idea di famiglia tradizionale. Non c’è da stupirsi se fin quasi dalla loro nascita i film hanno saputo raccontare e anticipare la società molto meglio di quanto faccia la politica. E in qualsiasi festival o rassegna è possibile individuare gli assortimenti più originali accostati alla parola nucleo.
Quindi, anche il Torino Film Festival non potrà sottrarsi a questo esercizio divertente ma non inutile, cercandone il senso nei film visti fino ad ora.
I due esempi più realistici sono quelli che farebbero più discutere e che contemplano famiglie create da coppie dello stesso sesso. Come in Nasty Baby di Sebastian Silva, film prodotto dal regista cileno Pablo Larraìn. Nella New York di oggi due uomini conviventi desiderano un figlio e per soddisfare il desiderio di paternità chiedono aiuto a un’amica. L’idea dei due ragazzi è di accogliere il nascituro in una famiglia con due padri e una madre. Il film, girato quasi come un documentario, lascia comunque intravedere i pregiudizi che la loro decisione comporta, soprattutto per la diffidenza aggressiva del quartiere in cui vivono.
L’altro è il film partecipato di Antonietta De Lillo, Oggi insieme domani anche. In un puzzle di storie vere, girate da diverse registe e registi assistiamo alle più differenti declinazioni della parola amore. Coppie sposate e separate rimaste in ottimi rapporti, coppie che non si sopportano più dopo molti anni di matrimonio, giovani fidanzati, sogni, previsioni e racconti in una sorta di Comizi d’amore dei giorni nostri. Anche qui trovano spazio coppie e genitori dello stesso sesso e coppie di nazionalità miste. Le forme d’amore sono cambiate, o forse sono solo più libere, e questo progetto a più mani lo racconta bene.
Anche quella di God Bless the Child è una famiglia. Nel documentario di Robert Machoian e Rodrigo Ojeda Beck si assiste a una famiglia di soli bambini e una sorella maggiore, adolescente che suo malgrado a causa di una madre assente e infantile più di lei, si trova da sola per un intera giornata alla mercè di queste quattro pesti, in una sorta di prova generale della vita indipendente. Ragazzini dai 3 ai 10 anni completamente lasciati a se stessi, ai loro giochi e ai loro disastri. Che sia una metafora della nostra società?
E si potrebbe continuare con la bizzarra accoppiata di La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi, molto diversa per età e linguaggio, formata da Valerio Mastandrea e Hadas Yaron. O a quella ancora più buffa e assurda di The Lady in the Van di Nicolas Hytner, la storia vera dell’incontro tra il commediografo inglese Alan Bennet e la dama homeless che vive nel furgone davanti a casa sua (gli attori sono Alex Jennings e Maggie Smith).
Belle famiglie e senza noia, sicuramente migliori di quella del film Lo scambio di Salvo Cuccia, girato nella Palermo delle stragi mafiose degli anni ’90, in cui il “commissario”, uomo ambiguo e violento, ama la moglie, donna seria e addolorata che non esce di casa e passa le giornate a cucinare per il marito. Una figura tragica, che vive nel rimpianto dei figli non avuti e si dispera per le sorti di un bambino rapito, leggendo il giornale di nascosto.
Ci sono anche casi di famiglie spezzate, divise dalla guerra, famiglie fatte di superstiti in situazioni di emergenza. Le tre donne di Coma della regista siriana Sara Fattahi valgono come esempio per tutte. Una nonna, una madre e una figlia asserragliate nella loro abitazione a Damasco mentre fuori la città è sotto assedio.
Infine, in questo contesto di famiglie diverse, ne possono far parte a pieno titolo i due personaggi onirici e alieni di I racconti dell’orso di Samuele Sestieri e Olmo Amato. Partoriti dal sogno di una bambina addormentata, un essere umano coperto dalla testa ai piedi da una seconda pelle rossa e una specie di monaco meccanico, simile a quelli di Star Wars, si incontrano tra boschi e vallate e adottano un orsetto di peluche trovato inerme sotto un albero.