Giovedì 15 novembre, Auditorium Demetrio Stratos, Via Ollearo 5, Milano.
L’ingresso è gratuito e non serve prenotare. Il concerto inizia alle 21.00, arrivate per tempo!
Un repertorio in cui ironia, vitalità, gusto e classicismo si fondono in un insieme senza tempo. Questa la rilettura de “La Voce del Padrone”, con cui il cantautore Fabio Cinti si è aggiudicato il Premio Tenco 2018 come migliore interprete puro. Un riconoscimento che condividiamo pienamente proprio per la forza e l’urgenza con la quale Cinti ha scelto il carattere della gentilezza e ne ha fatto la sostanza artistica di questa avventura. L’album si fa ora concerto e in questa forma fa tappa, dopo una serie di date universalmente apprezzate, all’Auditorium Demetrio Stratos.
“Mettere le mani su un album del genere risultava molto rischioso – ci dice Fabio Cinti- Ho deciso fin da subito di comportarmi con l’album così come mi sono sempre comportato con il suo autore, con profondo rispetto e gentilezza, la stessa che lui usa nei confronti degli altri, una specie di devozione. Tradotto in musica, gentilezza vuol dire delicatezza, cura, e di conseguenza rigore”.
L’artista avventuriero non ha in questo caso spirito di emulazione, non è un umanista alla ricerca di nuove leggi né è lo studente d’arte che cerchi di appropriarsi della perfezione per poterne riproporre la dinamica. Potremmo invece chiamare “neoclassico” l’approccio dell’operazione: dato il modello, si vogliono scoprire e rivivere i suoi segreti attraverso il linguaggio della poesia. Tutte le canzoni di un disco ormai diventato mito vengono riproposte nello stesso ordine in cui furono pensate, con il “semplice” ausilio di un ensemble da camera (pianoforte e archi). Non è un rifacimento, né un omaggio, né un saggio di bravura, poiché nessuna di queste intenzioni sarebbe tutto. Più propriamente l’adattamento è un modo per conoscere, o soprattutto riconoscere Franco Battiato più profondamente e da una prospettiva peculiare: un gesto gentile, un atto creativo. La complessità del patrimonio interpretato e il possesso degli strumenti indispensabili da parte dell’interprete sono i presupposti necessari.
L’idea è quella di assistere ad un concerto pop e contemporaneamente ad un concerto classico: Fabio Cinti si pone come l’equivalente, in forma cantautorale e pop, del direttore d’orchestra che si appresti a dare la propria interpretazione di una partitura.
La rilettura de “La Voce del Padrone” fatta in occasione del disco premiato è, come tutte le esecuzioni classiche, un freeze-frame parziale della completezza dell’esperienza d’ascolto dal vivo e in presenza.
“Mi sono trovato di fronte un colosso che, al di là della fortuna e della diffusione, rappresenta in sostanza un genere. Mi sono rapportato all’opera come si fa con la musica classica, rispettando le parti e lo spirito. E il suono caratterizzante di quell’album non è solo nei timbri dei sintetizzatori, nel suono del rullante o in quello della voce, ma è soprattutto nella scrittura. Quindi rapportarsi con quel suono vuol dire rapportarsi con quella scrittura.”
Naturalmente una scelta di questo genere pone dei rischi, che sono anche stimoli. “La voce del padrone” è un album rock, con il trio basso-chitarra-batteria che urge da sotto e una strumentazione complessa in sovrimpressione, dominata da una voce particolarissima. Tutto questo rivive come partitura, voce compresa, e il lavoro sulla ritmica è una delle sfide più importanti del concerto, tutto un incastro delicati pattern ritmici che intrecciano, accostano, contrappongono fra loro.
“Uno dei paletti è stato quello di non aggiungere note diverse da quelle esistenti nell’originale, ma questo poneva problemi soprattutto sui disegni ritmici che, se assenti, avrebbero tolto emotività all’ascolto. Così ho assegnato spesso al violoncello delle parti che recuperano i pattern ritmici, mentre il violino rileva i sintetizzatori e tutto il resto. In sostanza, ho scritto tutte le parti cercando di tracciare con questi strumenti soprattutto l’impatto emotivo dell’originale, riportando a galla alcune melodie nascoste che sono difficili da decifrare a un primo ascolto (o a un ascolto non tecnico) ma che sono fondamentali per ricreare quelle stesse sensazioni. Non bisognava riprodurre soltanto delle parti però, ma metterci dentro l’esoterismo, la Sicilia, la sperimentazione elettronica, l’Oriente, la classicità mitteleuropea… insomma, Franco Battiato.”
Dalla prima nota all’ultima battuta questo riadattamento gentile si preannuncia come un esperienza d’ascolto emotiva e sorprendente. E così qualcuno degli spettatori in auditorium, di ritorno a casa, scorrendo con lo sguardo i dischi di una vita e ritrovando l’originale, comprato dieci giorni, o decenni fa, si ritroverà a dirsi: “Forse da oggi saprò amarti meglio”.