La Dichiarazione di Roma è l’ultimo dei numerosi documenti ufficiali sull’Europa. L’ultimo in ordine di tempo. E’ stato firmato sabato scorso dai 27 capi di stato e di governo dell’Unione europea. Senza la Gran Bretagna, ormai di fatto già fuori dall’Europa.
Quel documento sarà anche il primo tra quelli necessari a tracciare il futuro dell’Unione europea?
Due anni fa, le cinque maggiori cariche istituzionali dell’Unione (i presidenti della Commissione, del Consiglio europeo, dell’Eurogruppo, dell’Europarlamento e della Bce) scrissero un corposo documento sul futuro dell’Europa economica e monetaria, con tanto di date e tempi per completarla. Che fine ha fatto?
Quel documento sembra pressochè svanito dalla memoria corta dell’Europa. Il che conferma, non è una sorpresa, che nell’Unione di oggi contano di più i governi che le massime cariche istituzionali.
Ma al di là delle gerarchie interne all’Unione (tra governi e organi comunitari), chi comanda oggi in Europa?
La Dichiarazione di Roma si apre con le seguenti parole: “Noi, leader dei 27 stati membri…”. “Leader”, quindi capaci di guidare scelte e processi politici. Ma è realmente così? Memos ha girato la domanda a Giulio Azzolini, filosofo della politica all’università “La Sapienza” di Roma e autore di Dopo le classi dirigenti. La metamorfosi delle oligarchie nell’età globale (Laterza, 2017).
La tesi di Azzolini, riferita non solo alle vicende regionali europee, è che “l’età globale ha inesorabilmente compromesso le condizioni di esistenza di una classe dirigente in senso proprio”. A comandare rischiano di essere solo “pochi giganti transnazionali”.
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