Il 9 maggio è la festa dell’Europa. La prima domanda che viene spontanea è: cosa c’è da festeggiare? Ma tant’è: il 9 maggio si ricorda il discorso del ministro degli esteri francese Robert Schuman.
Era il 1950, l’Europa tentava di uscire dalle macerie della guerra, quelle fisiche, quelle morali e quelle politiche. Schuman, quel pomeriggio a Parigi, fece quello che viene considerato il primo discorso politico che prospetta un’Europa unita. Un punto di partenza. Schuman prospetta il superamento dell’ostilità tra Francia e Germania con la messa in comune di carbone e acciaio. Un anno dopo nacque la Ceca, il primo nucleo di quella che oggi conosciamo come Unione europea. Prima di Schuman c’erano stati il Manifesto di Ventotene le visioni di Jean Monnet. Ma fu quel 9 maggio che venne abbozzato un primo, concreto, progetto di condivisione di interessi cruciali: le materie prime.
Non sono passati nemmeno 70 anni e oggi l’Europa è una realtà consolidata e imprescindibile. Che però fatica a trovare un’idea di sé per il futuro. Ed è dilaniata da forze centrifughe.
La debolezza politica dell’asse franco-tedesco, proprio quello avviato da Schuman. Merkel è sul viale del tramonto e Macron non decolla.
I partiti antieuropei e nazionalisti crescono in diversi stati membri
A est si è formato un gruppo guidato dal naizonalista ungherese Orban che guarda più a Mosca che a Bruxelles.
La gestione dei flussi migratori è stata non solo inefficace ma anche palesemente contraria agli stessi valori e ideali a cui l’Europa dice di guardare.
Le istituzioni europee sono deboli: il parlamento rappresenta poco e la commissione è spesso sdraiata sui dictat dei governi nazionali.
Cosa accadrà nei prossimi anni non lo sappiamo: se l’Europa imploderà fiaccata dalle proprie malattie o se troverà una cura capace di rilanciarla. Di certo oggi, rispetto anche solo a 5 o 6 anni fa sappiamo che l’Unione non la possiamo dare per scontata.
Al tempo di Schuman c’erano gli ideali e l’aspirazione al futuro. Ma fu la concretezza di carbone e acciaio a dare la spinta decisiva. Oggi, forse, quella spinta ci viene dalla necessità di non restare stritolati tra i due giganti globali: Cina e Stati Uniti.