
Con Warm UP il pioniere della French Touch, con più di trent’anni di esperienza sulle piste da ballo, si è imbarcato nella pericolosa avventura di un album pop, interamente cantato: scommessa riuscita! L’intervista di Radio Popolare a 360 gradi: la collaborazione con Damon Albarn, l’allarme per il riscaldamento globale e le guerre, i libri di PIketty, la solidarietà della scena elettronica con Gaza, l’epopea della French Touch tra rave, rap e techno di Detroit e impegno politico. L’intervista di Chawki Senouci.
Si è un disco al 100% pieno di featuring, e al 100% cantato. In effetti, quando ho iniziato a lavorare all’album, era il periodo in cui i club e i festival erano ancora chiusi in Francia, dopo il Covid. Non eravamo più confinati, ma i club, i festival e i concerti sono stati l’ultima cosa a riaprirsi. Così, ero in studio e non potevo fare le tracce electro, le tracce techno up-tempo che faccio di solito, perché non potevo suonarle nel fine settimana, dato che era tutto chiuso. Così ho iniziato a lavorare su tracce più lente, più down-tempo perché mi sembravano più adatte al periodo che stavamo attraversando. In effetti, erano tracce che potevo fare agli inizi, negli anni ’90, ai tempi di “Motorbass”, “Super Discount” o “Tempovision”. In effetti, lì ci siamo concessi il diritto di esplorare tutti i diversi tempi, i diversi ritmi. Negli ultimi dieci anni circa non mi sono mai permesso di farlo. Non avevo mai fatto canzoni con tempi inferiori a 120 o 110 bpm. Questa ne è stata l’occasione. È stato un po’ complicato fare strumentali lente rispetto a quelle veloci come quelle da club, che so come verranno usate. Qui non capivo bene dove andare a parare, così ho mandato una traccia a Franck Léon, che è stato il primo a mandarmi una voce. E poi, all’improvviso, ho capito che queste tracce avevano senso solo se sopra c’era un cantato. Così ho fatto 2-3 tracce come canzoni. E dopo quelle, mi sono detto: questo album deve contenere canzoni. Non so perché, è stata una specie di visione, qualcosa di ovvio che mi è venuto in mente. Mi sono detto: in questo album, qualunque sia il tempo, voglio avere dei cantanti in ogni traccia.
Quindi un album che si può tranquillamente ascoltare a casa?
È un album che si può ascoltare a casa, sì. In realtà, a casa si può ascoltare qualsiasi album, ma è vero che volevo che fosse meno orientato ai club.
Possiamo ascoltarlo con nostra nonna insomma…
È proprio così. L’ambizione era proprio quella di avere un album che fosse forse più accessibile a un pubblico che non fosse necessariamente un pubblico di discotecari.
Perchè il titolo “Warm Up”?
Non ho molti messaggi politici nella mia musica. D’altra parte, uso spesso i titoli dei miei album o delle mie canzoni per esprimere me stesso. In “Super Discount”, per esempio, ho fatto un pezzo intitolato “My Contribution to Global Warming”. E “Warm Up” mi è sembrata una buona idea visto lo stato del clima e della politica mondiale. Avevo la sensazione che fossimo in fase di riscaldamento e che il momento di picco fosse dietro l’angolo.
Qual è stato il criterio per scegliere i featuring?
Beh, i featuring sono tutti artisti che ascolto spesso a casa. Sono un grande fan della musica elettronica, ma a casa ascolto più indie-rock o musica un po’ psichedelica, cose del genere. Ho pensato agli artisti che ascolto di più ed è a loro che ho inviato le richieste.
Come è venuta l’idea di lavorare con Damon Albarn? È stato facile parlare con lui?
È stato molto facile perché è una persona molto accessibile, ed è una persona che ha mantenuto il sangue freddo, è molto gentile e soprattutto molto, molto generosa nel momento in cui lavora. Ma poi la sua canzone è piuttosto speciale. Abbiamo registrato il brano 20 anni fa. 20 anni fa, dopo l’album “Tempovision”, avevo un progetto per un album di featuring, ma era un po’ complicato, era come un’opera di musica elettronica, una techno-opera. Avevo scritto una sceneggiatura e per ispirare i collaboratori dicevo loro: «La storia è questa, tu sei questo personaggio». E così, all’epoca, gli ho mandato il pezzo, siamo andati in studio, abbiamo registrato. Poi, come sempre con i featuring, è un processo molto lungo, molto lento, perché le persone che hanno talento spesso non hanno molto tempo. Lui era uno di quelli che aveva tempo, è andato abbastanza velocemente. Ma per tutti gli altri c’è voluta una quantità infinita di tempo. Così, nel frattempo, ho realizzato “Super Discount 2”, e quel disco mi ha portato in giro per due anni. E poi sono successe un sacco di cose, quindi questo progetto si è un po’ insabbiato. Avevo questo brano sul mio hard disk da molto tempo, ed è stato quando stavo facendo molti progressi con l’album “Warm Up” che all’improvviso mi sono detto: «Ma ho questo brano che corrisponde completamente al DNA dell’album che sto facendo». Così mi sono rimesso in contatto con Damon e gli ho detto: «Questo brano non l’abbiamo mai pubblicato prima, dovremmo farlo ora?» E lui ha detto di sì, quindi ecco fatto. Ma è stato estremamente facile lavorare con lui. E soprattutto ha così tanto talento che da un sacco di idee e sono tutte ottime.
In questo periodo è in tour con questo album in Francia. Com’è l’accoglienza del pubblico?
Sono in tour con un allestimento particolare, singolare, perché ho solo luci, non ho schermi, non ho altri media sul palco. Sono solo luci installate sul pavimento, quindi non si vede la fonte di luce. È una proposta singolare. Per il momento la gente si diverte, sta andando piuttosto bene. E’ una cosa fantastica.
Facciamo un po’ di storia. Lei ha iniziato come ingegnere del suono…
Sì, molto tempo fa ero un tecnico del suono. È stata la mia formazione iniziale. Ho lavorato in uno studio di registrazione, è lì che abbiamo registrato MC Solaar. Sono stato assistente tecnico del suono nelle sessioni dei primi album di MC Solaar.
Poi ha scoperto la techno per caso?
Un po’ per caso. Nel 1992: non erano i primi rave, ma erano i primi rave che funzionavano. All’improvviso ci furono dei rave a Parigi. E accadde che una sera, ero con Philippe Zdar e alcuni amici, e sentimmo parlare dei rave. Ci siamo detti: «è un posto divertente, è fantastico, c’è musica dal futuro». Così siamo andati a vedere. E in effetti siamo stati completamente travolti dalla musica, dall’atmosfera e dall’intero mondo della techno.
E poi c’è stato Motorbass, il progetto con Philippe Zdar che è l’inizio di una grande avventura, la French Touch.
Sì. In effetti, quando abbiamo scoperto i rave, eravamo ben lontani dal French Touch. In altre parole, i rave erano davvero molto techno. All’epoca, molta musica veniva dall’Olanda, da Detroit, era molto sintetizzata, davvero molto techno. Quando l’abbiamo scoperta, abbiamo iniziato a comprare dischi e a fare un po’ di pratica come DJ. E poi, mentre eravamo in studio con produttori hip-hop che lavoravano con i campioni, abbiamo pensato: «Dobbiamo fare tracce come quelle», perché avevamo capito come venivano realizzate le tracce techno, con la nostra esperienza di ingegneri del suono, conoscevamo i sequencer, conoscevamo gente che lavorava con Atari e programmi del genere. Così abbiamo pensato: «Facciamo un po’ di musica». Ma siamo stati influenzati dai produttori hip-hop e così abbiamo fatto musica techno e house, ma con i campioni. C’erano alcune persone a New York che lo facevano, altre a Chicago, ma non era molto popolare all’epoca. Quindi è vero che ha dato un lato un po’ più accessibile alla musica elettronica, alla techno. Così, persone che non erano state ai rave, persone che non si erano fatte di ecstasy, all’improvviso capirono quella musica. Ed è vero che fu dopo quel suono che la chiamammo French Touch. È questo che fa la differenza tra la techno di Detroit e il French Touch. Abbiamo usato dei campionamenti, quindi c’era qualcosa di più familiare per chi non conosceva questa musica. Anche se la struttura e il pezzo, per come si sviluppano nel tempo del brano, erano radicati nella techno, i suoni erano più familiari. Quindi per le persone che non facevano parte di quell’universo era più facile entrarci, credo.
Nel suo libro “Electrochoc” Laurent Garnier, a proposito del rapporto tra Detroit e la Techno racconta che la Techno è nata nel dolore. Il declino economico, il declino del settore dell’auto, il crack, la comunità afro espulsa dal centro città. Secondo lei la Techno è ancora una musica rivendicativa, sovversiva?
Credo che nella techno ci sia anche questo elemento di protesta. Ma ho l’impressione che il movimento sia diventato così ampio e popolare, che negli ultimi trent’anni o giù di lì la techno si sia fatta strada in ogni cosa. E penso che ci siano scene diverse. Penso che ci siano scene molto inclusive, molto politiche e ancora militanti. Penso che ci siano scene diverse, e il French Touch si potrebbe dire è una di queste. Oggi c’è anche una scena di musica elettronica borghese. È vero che il French touch è più la piazza dei VIP che quella degli amanti della techno, si potrebbe dire. Penso che ci sia ancora una scena di protesta, sovversiva e politica, e poi ho l’impressione che ci siano state altre scene che vi hanno inciso.
Comunque continua ad avere un grande seguito tra i giovani…
Cambia spesso, in effetti. È questa la cosa divertente, oggi sta arrivando una nuova scena, che è molto eccitante. Una scena, una nuova generazione di musica che va molto veloce, trance, hard trance, hard techno, hard groove, dove i tempi sono molto veloci. E si sente che c’è una nuova energia sovversiva che è fantastica. Dopodiché ho l’impressione che nella techno ci siano anche delle nicchie puriste che improvvisamente sono forse un po’ meno interessanti, che dicono “la techno deve essere così, deve essere così”. Non sono un grande fan dei puristi. E poi vedo anche che, dato che è di moda, ci sono molte persone che si vestono da fan della techno e vanno ad ascoltare la techno. In effetti, oggi la cosa è diventata così ampia, che credo che ci sia assolutamente di tutto. Ormai nelle scene techno ce n’è per tutti i gusti.
Parliamo di politica. Sul dramma della striscia di Gaza c’è il silenzio degli artisti mainstream, soprattutto in Italia. Invece la comunità Techno ed elettronica ha prodotto compilation e t-shirt per raccogliere fondi per i civili della striscia. In Francia com’è la situazione?
In Francia, infatti, se ci sono movimenti, provengono dalla comunità della musica techno ed elettronica. Ci sono anche artisti mainstream che prendono posizione. Ma in realtà i messaggi arrivano spesso dalla comunità techno.
L’ultima domanda è sulla politica francese, e la politica in generale. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2022 il candidato di France Insoumise Mélenchon ha condiviso un suo post in cui diceva: «Voglio esprimere la mia opinione, non mi rassegno a vedere lo stesso ballottaggio di cinque anni fa. Non riesco a credere che la sinistra scompaia completamente a favore di un discorso di estrema destra identitaria. Penso che molti dei problemi che dobbiamo affrontare oggi siano legati all’estrema concentrazione della proprietà e del capitale e alla disuguaglianza nella distribuzione del valore creato. Ho letto per intero “Capitale e Ideologia” di Thomas Piketty, che consiglio a tutti. Domenica voterò per Jean Luc Mélenchon, spero che arrivi al ballottaggio e che il dibattito si concentri su questioni reali e non su una cortina fumogena». È vero che questo post non è una fake news?
No, no, non è una fake news. È una cosa vera. Era al secondo turno delle elezioni presidenziali dove abbiamo avuto lo stesso secondo turno di cinque anni prima, cioè Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Si dà il caso che io sia una persona piuttosto di sinistra e che la proposta di sinistra in Francia non sia enorme perché il Partito socialista francese era di destra. Quindi ero per il partito La France Insoumise che ha un vero programma di sinistra e avevo invitato a votare per Mélenchon. Non sono un attivista politico. D’altra parte, le mie idee sono chiaramente a sinistra e a ogni elezione importante esprimo la mia opinione, come può fare qualsiasi cittadino. Siamo abbastanza pochi a farlo nella musica, e ancor meno nella musica elettronica. Poi io sono appassionato di economia e i libri di Thomas Piketty, “Il capitale e l’ideologia” e “Il capitale nel XXI secolo”, sono davvero libri molto, molto interessanti. Ci sono molte informazioni interessanti e penso che per interessarsi alla politica serva essere informati. È davvero importante. E non si possono ottenere informazioni su Instagram o Facebook. Bisogna leggere i libri. E io li leggo.