Il presidente turco Erdogan ha annunciato che verrà concessa la cittadinanza ai profughi siriani presenti in Turchia. Non ha però specificato se le porte saranno aperte per tutti i 2 milioni e 700 mila siriani attualmente nel paese o ci saranno dei criteri restrittivi per vagliare le domande. Erdogan ha aggiunto che sarà il ministero degli interni turco a spiegare come funzioneranno le norme.
“Voglio annunciarvi una buona notizia” ha detto Erdogan ieri sera durante una cena per la rottura del Ramadan a Killis, sul confine turco-siriano: “Aiuteremo i nostri fratelli siriani offrendo loro la possibilità, se vogliono, di acquisire la nazionalità turca”.
E poi rivolto ai profughi: “Voi non siete lontani dalla vostra patria, ma solo dalle vostre case e dalle vostre città. Anche la Turchia è la vostra patria”. Killis ospita circa 120 mila rifugiati siriani, che ormai in città sono più numerosi degli abitanti turchi.
Ankara ha sempre rifiutato di garantire lo status di rifugiati a siriani in fuga dalla guerra, chiamandoli “ospiti”. Solo un piccolo gruppo ha ottenuto il permesso di soggiorno e di lavoro. Adesso, la svolta.
I primi commenti da parte delle organizzazioni per i diritti umani parlano di un passo positivo, ma gli esperti indicano anche diversi problemi.
Se verrà concessa la cittadinanza ai siriani, cosa sarà degli immigrati georgiani, armeni e di altri paesi che si trovano in Turchia? Le stesse regole varranno anche per loro? E i 300 mila iracheni che si sono rifugiati in Turchia per sfuggire all’Isis?
Quanto ci vorrà per l’assorbimento di numeri così grandi di persone? Si creeranno tensioni con la popolazione locale?
Il provvedimento spingerà altri siriani a tentare di entrare in Turchia? Le guardie di confine turche spareranno, come hanno fatto per bloccare recentemente gruppi di rifugiati?
E poi: che calcoli ha fatto Erdogan? “Vuole dare la cittadinanza ai siriani per far sì che poi votino in massa per lui?” si chiede l’opposizione. Oppure vuole mettere le mani sulla Siria, cominciando dai suoi cittadini?
O forse Erdogan ha letto il rapporto della Camere di commercio turche, che il 18 giugno scorso rivelava come la presenza dei rifugiati siriani stia aiutando l’economia turca?
Su 10 nuove imprese straniere che nascono in Turchia – si legge nel rapporto – tre sono di proprietà di siriani. Già un anno fa le imprese siriane registrate in Turchia erano oltre 2800, ma oggi – fra ufficiali e informali – sarebbero almeno 10 mila.
La vitalità nel settore commerciale dei siriani – scrive il rapporto – ha effetti positivi anche sul settore bancario turco. I depositi siriani hanno superato i 408 milioni di dollari nel primo trimestre di quest’anno. I conti correnti potrebbero gonfiarsi ulteriormente se i rifugiati ottenessero uno status più sicuro tramite la cittadinanza e si fidassero dunque a depositare tutti i loro risparmi nelle banche turche.
In questi 5 anni i siriani hanno sperato di tornare presto a casa, adesso invece stanno cercando di costruirsi una nuova vita in Turchia. Passata la fase iniziale di bisogno, quando le priorità erano trovare cibo e un’abitazione, adesso stanno aprendo negozi e ristoranti. I commercianti siriani hanno usato i loro contatti in tutto il Medio Oriente per riavviare le loro attività in Turchia e – secondo gli esperti – starebbero aiutando le esportazioni della Turchia, bilanciando i forti cali dovuti al conflitto.
In Turchia il turismo è in crisi a causa degli attentati, gli investimenti industriali stagnano a causa dell’incertezza politica, ma il PIL continua a crescere. Superando le previsioni, l’economia turca è cresciuta del 5,7 per cento nell’ultimo trimestre del 2015. Secondo le camere di commercio turche, questa crescita inaspettata si deve proprio alla presenza dei siriani.
La maggior parte dei paesi guardano ai rifugiati come un peso. Invece – se riescono a integrarsi nell’economia – sono spesso una preziosa risorsa.