Per una volta, la cerimonia stessa ha attirato più attenzione dei risultati: come già qualche settimana fa con le convention dei partiti democratico e repubblicano, c’era una certa curiosità per il modo con cui la produzione degli Emmy Award sarebbe riuscita a mettere in piedi una versione da remoto del tradizionale award show.
La sera del 20 settembre, dallo Staples Center di Los Angeles e in diretta nazionale sulla rete ABC (da noi, come ogni anno, su Rai4), il presentatore e comico Jimmy Kimmel ha distribuito gli Emmy 2020, i premi più importanti della tv, o meglio, i “Pandemmys”, come li ha soprannominati scherzando nel monologo iniziale, recitato davanti a una platea deserta ma montato su immagini di star sorridenti prese dalle passate edizioni. Un po’ come in una gigantesca riunione in smart working, la maggioranza dei candidati era collegata via Zoom da casa propria: qualcuno in solitaria, qualcuno con amici e parenti, altri ancora con i colleghi di set, ma, in questo caso, rigorosamente distanziati o con la mascherina sul viso.
Fuori dalla porta di casa di ogni candidato, un emissario dell’Academy of Television Arts and Sciences, protetto da una sorta di scafandro nero irrimediabilmente comico, era pronto a consegnare un Emmy al potenziale vincitore, per conservare il bello della diretta, l’imprevedibilità e l’emozione autentica di scoprire il verdetto solo ed esclusivamente all’apertura della busta.
Ci sono stati, inevitabilmente, alti e bassi, ma in generale il format ha retto, e anzi a qualcuno è sembrato più fresco, o quantomeno diverso dalla solita celebrazione elegantissima e un po’ paludata. Anche tra i premiati, però, si sono visti risultati storici, primo fra tutti quello della sitcom Schitt’s Creek, una piccola serie canadese, durata ben sei stagioni ma in Italia ancora inedita: inaspettatamente si è portata a casa tutti i premi della sua categoria, quindi migliori attori e attrici, protagonisti e non protagonisti, regia, sceneggiatura e naturalmente miglior serie comedy, qualcosa che non era mai successo prima. Lo show, creato insieme da Eugene e Daniel Levy, padre e figlio, racconta di una famiglia, ricchissima e totalmente scollata dalla realtà, che perde tutto: è una serie insieme satirica (soprattutto nei confronti di certi miliardari da reality show), sia capace di scaldare il cuore, e di evolversi nel corso delle sue sei annate, e pare che gli spettatori statunitensi l’abbiano scoperta, con un passaparola inarrestabile, proprio in questi mesi di lockdown.
Un’altra vittoria storica è quella della ventiquattrenne Zendaya come miglior attrice drammatica per Euphoria: l’ex star del Disney Channel è la seconda donna nera a trionfare in questa categoria, e la più giovane vincitrice di sempre. Euphoria è una serie HBO, ed è proprio il celebre network via cavo a uscire da dominatore indiscusso da questi Emmy 2020: erano ben più attese, ma sicuramente meritate, le tante statuette andate alle sue Succession (miglior serie drammatica) e Watchmen (miglior miniserie), oltre a The Last Week Tonight with John Oliver (miglior talk show).
Se si contano anche i premi per le categorie tecniche consegnati nei giorni scorsi, e quello vinto come miglior attrice dalla splendida Regina King (che indossava una maglietta col volto di Breonna Taylor e ha usato il suo discorso per spingere gli spettatori ad andare a votare a novembre), Watchmen è la serie che ha portato a casa più Emmy: 11. Ancora una volta, nonostante l’enorme quantità di nomination messe insieme, Netflix e altre piattaforme devono accontentarsi delle briciole: come a dire, anche attraverso la buona riuscita della serata, che non ci sono pandemie o siti di streaming che tengano, la cara vecchia tv è ancora in forma.
Foto | Facebook