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Tratto dal podcast
Memos di gio 21/11
Italia | 2019-11-21

Mancano due mesi alle elezioni regionali in Emilia Romagna del 26 gennaio. La Regione in questi giorni è diventata un po’ un’attrazione per la politica a livello nazionale col movimento delle Sardine da una parte e la presenza di Matteo Salvini dall’altra. E poi c’è stata anche la tre giorni del Partito Democratico che si è svolta lo scorso fine settimana a Bologna.
Alle elezioni di cinque fa partecipò soltanto il 37% dell’elettorato, un livello mai visto prima a quelle latitudini, e i risultati furono i seguenti: Stefano Bonaccini del centro sinistra, l’attuale presidente uscente della Regione, ottenne il 49% dei voti. Alan Fabbri della Lega Nord ottenne il 29% per cento. I voti di lista, e anche questi devono essere tenuti a mente, furono il 44% per il PD, il 19% per la Lega e l’8% per Forza Italia.
Oggi gli ultimissimi sondaggi, quelli fatti dalla società Ixè per RaiTre, danno Stefano Bonaccini a circa il 40% con la presenza del Movimento 5 Stelle e circa il 41% senza M5S. La candidata della destra, Lucia Borgonzoni, otterrebbe invece tra il 29,2% e il 29,4%.
È altrettanto interessante, anche oggi, andare a guardare i voti di lista di questi sondaggi. Oggi il PD sarebbe al 34%, la Lega al 30,9%, Movimento 5 Stelle al 10% e Fratelli d’Italia al 6%.
Ne abbiamo parlato col professor Luca Alessandrini, storico direttore dell’Istituto Ferruccio Parri di Bologna. L’intervista di Raffaele Liguori a Memos.
La Lega al 30% non sembra essere un dato da regione rossa. Si tratta del frutto della mutazione che l’Emilia Romagna ha vissuto in questi ultimi cinque anni?
Non parliamo più soltanto degli ultimi anni. Il primo segno è stato l’affluenza al voto nel 2014. Poi abbiamo i voti locali, il fatto che la Lega vinca a Ferrara o che M5S vinca ad Imola. Abbiamo avuto molti segni nel corso dell’ultimo decennio e certamente c’è stata una accelerazione nell’ultimo nell’ultimo periodo. Questo è un cambiamento significativo che vediamo un po’ dappertutto e che corrisponde a una più generale crisi della politica, ma procede a tappe forzate.
Dall’altra parte, però, esistono anche dei segni opposti come la ripresa di contatto con l’esperienza di governo emiliano-romagnola. Mi sembra di intravedere un ritorno all’orgoglio di una amministrazione buona, efficiente e partecipata, ma sostanzialmente democratica da una parte. Dall’altra parte c’è il segnale ultimo, quello delle cosiddette sardine che hanno un carattere completamente nuovo rispetto al passato.
Non è uno dei tanti movimenti come i girotondi o il popolo viola, ma questo non vuol dire che sia destinato a durare di più.
La caratteristica di quei momenti era che avevano una collocazione politica, mentre le Sardine hanno una connotazione antifascista. Sono persone che non si occupano di politica e che non hanno progetti politici, ma che di fronte a una cultura diffusa di estrema destra decidono di schierarsi.
La loro proposta non è a favore di questo o di quel progetto politico, ma è tutto contro quello che loro chiamano fascismo o populismo, quella subcultura politica che si sta diffondendo.
In questa trasformazione che ha avuto tempi lunghi bisogno inserire anche la penetrazione della ‘ndrangheta in alcuni luoghi molto importanti come Reggio Emilia.
Diciamo che la regione rossa in questi ultimi trent’anni è stata partecipe dei destini delle politiche italiane e della politica europea. Una crisi della politica, una maggiore spregiudicatezza negli affari economici, una maggiore penetrazione della criminalità organizzata. Gli anticorpi non solo facili da mettere in campo quando manca la possibilità di avere un vincolo e anche in Emilia c’è stato un progressivo cedere di quel senso civico che caratterizzava questa Regione e le città emiliano-romagnole. Questa convinzione di essere parte di un progetto civico per cui si concorrereva a proteggere le proprie città e il proprio territorio si è molto sfilacciato.
Per quanto riguarda la penetrazione della ‘ndrangheta si tratta di un discorso più difficile. Non è così automatico opporsi, ma ricordo che il processo Aemilia è stato uno dei processi più grossi ed importanti in questo campo. È stato un processo partecipato, c’erano associazioni della società civile che lo hanno seguito con grande partecipazione e grande preoccupazione. Anche questo non è un segno scontato, visto che in altri luoghi non accade.
Sulla questione abbiamo sentito anche l’eurodeputata del Partito Democratico Elisabetta Gualmini, politologa dell’Università di Bologna nonché vicepresidente regionale dell’Emilia Romagna fino a qualche mese fa.
Come valuta il fatto che il presidio leghista nella sua Regione è aumentato in maniera così consistente?
La Regione Emilia Romagna non è una regione rossa da tantissimo tempo e per questo è una regione assolutamente contendibile. Tutti i dati dimostrano che i cittadini non decidono più sulla base di appartenenze ideologiche, ma decidono sulla base del fatto che ci sia un’offerta politica precisa. Non c’è dubbio che la Lega da tempo stia crescendo, soprattutto nelle zone periferiche della Regione e non nei capoluoghi, perché probabilmente ha saputo intercettare un senso di insicurezza e di fragilità a seguito della crisi economica e dei tanti cambiamenti della nostra società.
La cose secondo me importante è uscire da una dinamica interpretativa solo nazionale. Queste elezioni sono anche una partita nazionale ed è quello il gioco di Salvini: spostare tutto l’interesse su temi nazionali, mentre i cittadini voteranno per delle cose molto precise, come la sanità in Emilia Romagna o i servizi alla persona.
Qualunque sia il risultato in Emilia Romagna è innegabile il riflesso nazionale. Possiamo immaginare che cosa potrà significare il 27 gennaio 2020 avere alla presidenza della Regione Emilia Romagna la candidata del centrodestra Lucia Borgonzoni: sarebbe una scossa in grado di riflettersi su tutto il territorio nazionale a livello politico.
Certamente. Tuttavia i sondaggi ci dicono che questo scenario è lontano da realizzarsi. Oo penso però che ci sia un altro fattore rilevantissimo. La Lega negli ultimi anni ha superato in maniera esagerata diversi tabù: ha utilizzato toni razzisti e promosso una cultura dell’intolleranza e questo in Emilia Romagna non può andare oltre certi livelli. In questa regione ci sono dei valori profondamente radicati, non necessariamente partitici, ma pensiamo al fatto che l’Emilia Romagna ha il record del numero delle associazioni del terzo settore, ha decine di migliaia di volontari che da mattina a sera si occupano del bene comune. C’è davvero, rispetto ad altre regioni, una cultura di partecipazione e un senso di comunità che la Lega ha messo fortemente in discussione. E quando si toccano questi valori, la reazione c’è.
Foto dal profilo ufficiale su Facebook di Stefano Bonaccini